«Palestra e tirocinio ad un’integrità
cattolica di pensiero e di condotta, alimentata da grande pienezza di
vita interiore». Così papa Paolo VI si riferiva all'Azione cattolica italiana , una tra le più longeve, diffuse e feconde esperienze di impegno
dei laici nella vita della Chiesa. Pronunciate nel 1966 proprio
durante un convegno dell'associazione, queste parole possono essere
accostate a molte altre: l'intera vita di papa Montini è
attraversata da una costante cura pastorale e da una sempre rinnovata
fiducia verso l'Azione cattolica. Già da arcivescovo di Milano
affermava: «Il nostro ministero pastorale ci ha confermato nella
stima e nell’affezione verso cotesta sempre viva e fiorente
associazione e ci ha procurato esperienze, soddisfazione, speranze
che non potremo certamente dimenticare».
E
che in effetti non dimenticò mai. Due anni più tardi, da pontefice,
si impegnava a fare ciò che era in suo potere «per allargare la
capacità di azione, la maturità di giudizio e la sfera di
responsabilità dell’Azione cattolica».
In occasione della beatificazione di
Paolo VI, monsignor Paolo Rabitti, arcivescovo emerito di Ferrara e
membro della Congregazione per i Vescovi, ricostruisce la storia di
questo profondo e duraturo legame, aggiungendo così nuovi punti di
vista a un ritratto dalle tante sfaccettature. Nella sua attenta
rilettura delle parole del Pontefice, monsignor Rabitti dimostra che
l'interesse di Montini per l'Azione cattolica aveva un significato
profondo, ben al di là di una semplice attestazione di stima. Il
Papa vedeva in questa realtà l'anticipazione di alcune grandi
innovazioni introdotte dal Concilio Vaticano II. Egli stesso lo disse
apertamente: «L’animazione spirituale, morale, sociale e civile,
alimentata dall’Azione Cattolica, ha davvero preparato il Concilio
Ecumenico».
Come non pensare alle riflessioni sul ruolo del laicato
più volte espresse nei documenti conciliari? «I laici – si legge
ad esempio nel dercreto Apostolicam Auctuositatem - collaborando con
la gerarchia secondo il modo loro proprio, portano la loro esperienza
e assumono la loro responsabilità nel dirigere tali organizzazioni,
nel ponderare le circostanze in cui si deve esercitare l'azione
pastorale della Chiesa e nella elaborazione ed esecuzione del loro
programma di azione». Tutte attività che si possono ben scorgere
nel programma dell'Azione cattolica.
Con gli occhi della posterità, in
tempi travagliati e segnati da profondi cambiamenti, verrebbe da
chiedersi se una realtà che ha radici nell'Italia di metà '800
abbia ancora la forza per reggere sfide e urti dei nostri giorni. In
molti oggi considerano l'Azione Cattolica come un'istituzione
superata. Ecco perché nel suo intervento monsignor Rabitti prende
spunto dalle esortazioni di Paolo VI per indagare le ragioni di un
(almeno apparente) declino.
E non mancano affermazioni di
autocritica. Siamo «eredi – si domanda il presule – o
scialacquatori di queste consegne? Dovremo tutti esaminarci: se come
vescovi abbiamo “preso e tenuto in mano l’Azione cattolica”,
oppure se l’avessimo lasciata al suo destino, ospiti di “scialuppe”
invece che guide della nave; se come sacerdoti abbiamo sostenuto ed
educato questa singolare ed indispensabile forma di ministerialità e
di aggregazione laicale, oppure se fossimo occorsi in una
imperdonabile latitanza e quasi abbandono dell’esigente “seminario
laicale e formativo”; se come laici della Chiesa, semplicemente,
avessimo lasciato “sgolare” questo Papa, nelle sue proprie
accorate raccomandazioni, preferendo la solitudine personale».
D'altra parte sono indicative le parole
che lo stesso papa Montini pronunciò nel 1970, dimostrando tra
l'altro di avere uno sguardo che correva ben oltre la sua epoca. A
chi, già allora, bollava l'Azione cattolica come una realtà da
mettere nel cassetto dei ricordi, Paolo VI rispondeva: «L’Azione cattolica non è finita, non è anacronistica, non è antiquata, non
è un organismo invecchiato che sopravvive per onore del nome. È un
organismo giovane e nuovo; è un segno ed una promessa di vitalità
del cattolicesimo italiano».