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martedì 28 marzo 2023
 
TORINO
 

Morti schiacciati dalla gru, monsignor Nosiglia: «Le istituzioni non rimangano inermi»

23/12/2021 

La tragedia di Torino. Tre morti schiacciati da una gru, sabato 18 dicembre, in una cantiere di via Genova. Sopra, l'arcivescovo monsignor Cesare Nosiglia ai funerali. Tutte le foto del servizio sono dell'agenzia Ansa.
La tragedia di Torino. Tre morti schiacciati da una gru, sabato 18 dicembre, in una cantiere di via Genova. Sopra, l'arcivescovo monsignor Cesare Nosiglia ai funerali. Tutte le foto del servizio sono dell'agenzia Ansa.

Un contrasto straziante. Da un lato le luci della festa, l’attesa del Natale, la natività allestita all’ingresso del Duomo, come un richiamo alla speranza. Dall’altro una città ferita, che si stringe attorno alle vittime dell’ennesima tragedia sul lavoro. E’ giorno di lutto cittadino: bandiere a mezz’asta, silenzio, sgomento. Nella cattedrale di Torino, viene celebrato il funerale di Filippo Falotico (20 anni), il più giovane dei tre operai rimasti uccisi dal crollo di una gru, sabato18 dicembre, mentre lavoravano in un cantiere, in via Genova. La dinamica dell’incidente non è ancora del tutto chiara (sta indagando la Magistratura). Ciò che pesa come un macigno è il dolore per tre vite spezzate. Tre vittime di quella «guerra non dichiarata della sicurezza sul lavoro», come l’ha definita l’arcivescovo del capoluogo piemontese, monsignor Cesare Nosiglia, durante le esequie del ragazzo morto (i funerali delle altre due vittime, Roberto Peretto e Marco Pozzetti, saranno invece officiati, come disposto dalle famiglie, nei loro comuni d’origine, in Lombardia).

«Di fronte alla morte non siamo chiamati a campare di ricordi, sfiniti dalla nostalgia. So quanto questo sia difficile: ma la memoria che rimane viva è il dono che Filippo è stato per la sua famiglia, per gli amici, per le associazioni che frequentava» ha detto l’Arcivescovo, nell’omelia della Messa, in un Duomo gremito di persone: familiari e amici della vittima (tantissimi i giovani), ma anche centinaia di cittadini, che, pur non conoscendo personalmente il giovane operaio, si sono sentiti toccati e chiamati in causa dalla tragedia. C’era anche il sindaco Stefano Lorusso. E con lui diversi altri rappresentanti di enti locali e istituzioni. «Gesù ci invita ad avere fede in Dio e fede anche in Lui per poter sperare di vivere sempre con Lui dopo la morte, là dove ci ha preceduti e ci attende» ha aggiunto il Presule.

Dopodiché monsignor Nosiglia ha voluto rivolgere un appello all’intera comunità cittadina. Un richiamo forte, proveniente da un pastore che molto si è speso, durante il suo mandato, per la dignità del lavoro e dei lavoratori: «è inaccettabile che, in un Paese che vuol essere tra i più avanzati, si debbano registrare così tanti e così gravi episodi di incidenti e infortuni sul lavoro, mortali o invalidanti. Le inchieste delle Magistrature hanno il compito di stabilire le cause specifiche per ciascuno di questi episodi: ma è evidente che c'è un problema ben più vasto e generale, che coinvolge l'intero sistema sociale ed economico. E c'è anche una questione di mentalità: occorre comprendere che i costi della sicurezza sono il vero risparmio, sono il vero investimento».

«Non si può risparmiare sulla vita», ha sottolineato l’Arcivescovo. «Non si può – addirittura – speculare sulla vita altrui. C'è un diritto al lavoro, oggi già così difficile da attuare; e c'è anche un diritto alla sicurezza del lavoro, che appare ancor più lontano da realizzare». Già nei giorni scorsi, in particolare durante il tradizionale incontro di Natale con i giornalisti, monsignor Nosiglia aveva affermato di provare vergogna di fronte a una tragedia che chiama in causa tutti. Impossibile non rivolgere lo sguardo a un Paese, l’Italia, dove da gennaio a ottobre si sono registrate più di 1.000 morti bianche. A Torino, città dell’industria e del lavoro per antonomasia (questo, almeno, è stato il suo passato recente), la memoria ritorna a quel 6 dicembre 2007, quando sette operai morirono per un’esplosione, all’interno dell’acciaieria Thyssenkrupp. E da allora, tristemente, altri episodi si sono susseguiti, nelle fabbriche, nelle officine, nei cantieri. Davvero una «guerra non dichiarata».

Terminate le esequie, mentre la bara del giovane operaio, coperta di rose bianche, veniva portata fuori dal Duomo, in un silenzio irreale, palloncini bianchi e azzurri si sono levati verso il cielo. Un saluto, un semplice segno d’affetto, in una città ferita. 

 
 
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