“L’acqua salata? E’ come un tumore che ti mangia da dentro, senza che tu te ne accorga. E’ un male subdolo che rende ancora più vecchia una città millenaria com’è Venezia”. Usa questa metafora l’ingegner Pierpaolo Campostrini, procuratore di San Marco, per spiegare l’effetto devastante di una marea come quella di due notti fa, che ha raggiunto i 187 cm sul medio mare, e che è stata seconda solo a quella catastrofica del 1966 che fu di 7 cm più alta.
“I danni più seri sono quelli che invisibili, perché sono permanenti: i mattoni dietro i marmi si sono imbevuti di acqua salata che per capillarità risale sui muri. Quando l’acqua s’asciuga resta il sale che, cristallizzando, rompe il mattone e si trasferisce ai marmi e agli intonaci a cui sono attaccati i mosaici: è come se la basilica in poche ore fosse invecchiata di 20 anni”.
Eravate preparati a questi eventi?
“Sì. le nostre squadre erano qui in basilica due sere fa, pronte a fare quanto possibile in queste condizioni. E’ la città che non è ancora pronta: ha cercato di aumentare la propria resilienza in questi anni. A differenza del 1966, quando il centro storico è rimasto per 4 giorni senza riscaldamento e luce, isolata dal mondo, oggi la città sembra quasi normale. Bisogna entrare nei palazzi, nei negozi, nelle chiese per vedere cos’è accaduto”.
E’ da tempo che avete alzato la voce per denunciare una situazione di rischio. E’ così?
“Sì siamo stati l’unica voce che s’è alzata per denunciare questa situazione. L’acqua alta è un problema annoso, ma non è sempre stato così: nel 1094, alla nascita della basilica attuale, non c’era questa emergenza, il mare era abbastanza basso”.
Il Mose in funzione sarebbe servito?
“Il Mose sarebbe bastato, perché ha la capacità di interrompere la comunicazione tra mare e laguna alzandosi. Come città abbiamo sottovalutato questo fenomeno: si sente ancora qualche veneziano dire “l’acqua alta c’è sempre stata. E’ falso. Le frequenze e l’intensità sono molto cresciute negli anni. Noi oggi dobbiamo chiedere che sia finito il Mose al più presto. Negli ultimi cinque anni i lavori non sono avanzati e il tempo non è una variabile indipendente. Se le paratoie si fossero alzate la scorsa sera avremmo probabilmente evitato questo disastro”.
Ma piazza San Marco e la Basilica sarebbero comunque andate sotto.
“La gestione del Mose è pensata a un livello di marea tale da non impattare troppo il respiro ecologico della laguna col mare. E’ una scelta politica-economica. Il problema è che la basilica è a un livello più basso, quindi bisogna impermeabilizzare tutta la piazza. La procuratoria di San Marco ha progettato un intervento, i cui lavori sono stati ultimati nell’aprile scorso, che salva il nartece e l’area antistante la facciata della basilica fino a una quota di 85 cm, che basta per il 70 per cento delle alte maree, ma non per quelle tra gli 88 e i 110 cm, quota in cui il Mose non entra il funzione. Ecco la necessità di impermeabilizzazione l’intera piazza”.
In cosa consiste il vostro intervento?
“In un sistema di valvole che impediscono la risalita dell’acqua di marea dai condotti dell’acqua piovana, cioè capace di togliere acqua per circa due terzi di quelle 900 ore in cui, ogni anno, il nartece è allagato”.
La cripta è andata completamente sotto…
“Pur essendo impermeabilizzata, grazie a un intervento complesso avvenuto una trentina d’anni fa, stavolta l’acqua è entrata rompendo le vetrate di alcune finestre e ha invaso l’ambiente salendo oltre un metro. Sono state anche allagate le tombe dei patriarchi. Ma i danni preoccupanti sono soprattutto quelli murari e ai marmi. Ma la stessa impermeabilizzazione è ormai datata e le resine usate non sono eterne. Probabilmente sarà necessario realizzare altri interventi”.
Come sta la basilica nel suo complesso?
“E’ una vecchia signora che sta ancora bene, ma se si ripetono sempre più spesso questi fenomeni l’invecchiamento creerà seri problemi. San Marco, come molte chiese, è un organismo vivo, realizzato e modificato nei secoli. Ma questi eventi creano accelerazioni patologiche: la cristallizzazione dei sali dentro i mattoni è un processo grave. Alla lunga ti costringe a sostituire i mattoni sfarinati. In fin dei conti la basilica è millenaria perché è stata fabbricata molto bene”.
L’antichità dell’edificio comporta, peraltro, problemi pure di sostituzione di alcuni materiali. Vero?
“Certo. Per esempio le basi delle colonne del nartece che sono di marmo verde di Tessalonica, si disgregano con l’acqua salata. Noi abbiamo in magazzino ancora un po’ di questo bellissimo materiale lapideo. Quando finirà, tuttavia, dovremmo usare qualcos’altro, perché quelle antichissime cave non esistono più. Quel marmo è esaurito in natura. E l’unico modo per farlo durare è non bagnarlo”.