La prima buona notizia dal Lido è che la kermesse della Mostra del cinema, e contemporaneamente il concorso per il 73° Leone d’oro, sono stati aperti degnamente da un ottimo film. Dopo aver azzeccato il titolo di apertura nel 2013 con Gravity di Alfonso Cuaròn e nel 2014 con Birdman di Alejandro Gonzales Inarritu (volati poi entrambi dritti dritti all’Oscar), il direttore Alberto Barbera ha fatto centro anche quest’anno con La La Land di Damien Chazelle.
Un debutto in musica e a passo di danza sul quale ben pochi avrebbero scommesso. Il talentuoso regista americano (già segnalatosi per il virtuosistico Whiplash) non ha infatti commesso l’errore di riproporre, in modo anacronistico per i nostri tempi, il classico musical hollywoodiano. La La Land è un omaggio a quello stile, di cinema ma anche di vita, attraverso il racconto della nostalgia per qualcosa di irrimediabilmente perduto. A suggerirci un viaggio nel tempo, ma soprattutto indietro verso un gusto e una certa capacità di emozionarci, sono due protagonisti di oggi. Mia, la sempre più brava Emma Stone (dai grandi occhi magnetici e sognanti capaci di stregare un grande come Woody Allen, che l’ha già voluta in due suoi film) lavora in un bar dentro i mitici studi di Hollywood dove venne girato Casablanca: sogna pervicacemente di fare l’attrice ma non fa che passare da un provino umiliante all’altro. Sebastian, un credibile Ryan Gosling dotato d’insospettata grazia, è invece un pianista che adora il jazz e non sa darsi pace per la musica orribile che appesta i nostri giorni. Lui vorrebbe far rinascere un leggendario jazz-club, far capire con la sua musica ai ragazzi la meraviglia di note oggi fuori moda. Finirà soltanto per condividere sogni e delusioni con Mia, portandola a vedere Gioventù bruciata nel decadente cinema Rialto, poi chiuso, o accompagnandola al mitico Griffith Observatory tante volte utilizzato nei film di un tempo. Le loro passioni, la loro comune sensibilità, li porterà a rievocare memorie impresse nell’intimo: canzoni, balli, coreografie che esprimevano la capacità di sognare in un’altra epoca. E qui s’innescano sequenze oniriche di danza che non stonano affatto con il contesto aspro e deludente in cui Mia e Sebastian si trovano a vivere: Ryan Gosling non è certo Fred Astaire ed Emma Stone non prova nemmeno a fare il verso a Ginger Rogers.
I loro passi un po’ meccanici, il loro non essere all’altezza col mito pur mettendoci tutta l’anima rende la coreografia una struggente prova di nostalgIa. Sembrano dirci: ecco come si era capaci una volta di credere nei sogni, perché oggi non più?
Non quindi un musical ma un film sulla magIa di quel mondo. Il marchingegno coinvolge rapidamente lo spettatore, grazie anche alle stupende musiche di Justin Hurwitz, ben orchestrate proprio come si faceva un tempo. Il racconto si aggroviglia e poi si dipana con fluidità, mai tradendo il gusto dolce-amaro di questa rievocazione fatta sull’onda delle emozioni più che dei ricordi. Fino a una conclusione a sorpresa, in bilico ancora fra gioia e malinconia, che è in fondo un omaggio alla indispensabile inutilità del cinema.
Applausi convinti da parte di ospiti e critici del gala di apertura e seria candidatura al Leone d’oro o, quanto meno, alla possibilità di ritrovare il film di Chazelle nel rush finale dei prossimi premi Oscar. Tanto ormai la Mostra di Venezia sembra aver soppiantato i Golden Globe, in questa particolare capacità di anticipare le scelte dei giurati dell’Academy. “Anch’io sono stata a un passo dall’idea di smettere di fare l’attrice, dopo tanti provini umilianti. Alla fine, sono stata più fortunata del mio personaggio”, ha confessato l’affascinante Emma Stone nell’incontro con la stampa. “Ciò che mi piace di questo film è che non è mai cinico. Invece, oggi tanti giovani lo sono. Spero che nella vita abbiano voglia di lottare per i loro sogni, per conquistare i loro obiettivi. Noi abbiamo preso il linguaggio ormai demodé del musical e l’abbiamo calato nella vita reale, dove le cose non vanno sempre nel modo migliore. Abbiamo voluto tradurre il linguaggio del musical dei tempi d’oro per i giovani di oggi. Io li vedo attorno a me, ci parlo, li ascolto perché siamo coetanei. E dico loro di abbandonare il facile sarcasmo”.
EMMA STONE E LE ALTRE: LA PAGELLA ALLA SFILATA DELLE ATTRICI
Naturalmente, giù applausi di giornalisti e addetti ai lavori. Applausi ancora più convinti quando verso sera, sul red carpet, Emma Stone ha sfilato con un bellissimo abito argentato a sfondo bluette, cosparso di strass, accollato ma con le braccia nude. Un incanto da vera star (voto 8). E visto che siamo in tema, diamo un po’ di voti alle prime donne che hanno dominato la passerella d’apertura. Partendo dalla madrina Sonia Bergamasco, davvero in gamba nel cavarsela d’impaccio in una serata di gala in bilico tra glamour e tristezza per il tragico terremoto del Centro Italia. Brava con le parole, un po’ meno con la mise visto che il suo lungo abito color pastello ha finito per rendere un po’ smorta la sua bionda eleganza (voto 6). Ha lasciato tutti a bocca aperta la modella Bianca Balti, presentatasi con uno spolverino color verde marcio morbido sopra, lungo dietro, cortissimo davanti: colpo a effetto (voto 7). A piacere più di tutte è stata la giurata britannica Gemma Arterton, attrice trentenne già di solida fama che ha sfilato con un lungo abito scuro da sirena che le modellava il corpo, mentre spalle e decolleté erano incorniciati solo da spalline scure (voto 9). Tra le altre italiane presenti, bel colpo d’occhio quello offerto da Cristiana Capotondi col suo abito floreale sul corpetto e scuro nella morbidezza della lunga gonna (voto 7). Troppo rigida e con insulse mezze maniche Chiara Mastroianni (voto 5), membro della giuria, che per sua sfortuna non somiglia in nulla alla mamma Catherine Deneuve. Decisamente fuori tono l’attrice Valentina Lodovini (voto 4), salita in passerella come giurata del premio giovani: giacca aperta e vestito color bianco gelataio fin troppo generosamente scollato, non per questioni di pruderie ma di pura eleganza, a far risaltare il fiocco nero a lutto per le vittime del terremoto. Ostentato in un’occasione in cui non era necessario.