«Questa è una famiglia felice, il mostro non può vivere qui». Sulle prime il sindaco di Motta Visconti, Primo De Giuli, ha tentato di esorcizzare così l’orrore di un triplice, inspiegabile omicidio. Man mano che il tempo passava, però, la “speranza” che gli autori della mattanza fossero stati dei rapinatori balordi, magari arrivati da fuori, si è andata affievolendosi inesorabilmente. Nella tragedia, sarebbe stato quasi un mezzo sollievo. È vero, Carlo Lissi e Maria Cristina Omes erano una coppia felice. Una famiglia con due figli: Gabriele, 5 anni e Giulia, 20 mesi; la serenità ritrovata dopo la morte del padre di lei; una villetta da media borghesia poco fuori Milano con il gazebo per cenare tutti insieme la sera in giardino e i giochini dei bimbi sparsi in cortile; la voglia di una vacanza ancora da programmare, la piscina che Carlo stava montando in questi giorni per i figli. E quelle foto su Facebook che svelavano uno spaccato di vita serena: i dolci preparati per il compleanno della piccola Giulia, gli scatti del matrimonio, la festa per «i primi otto mesi» di Gabriele.
Tutte le famiglie felici si somigliano fra loro, scriveva Tolstoj. Perché felicità, a volte, fa rima con normalità. Ed è nella più pura, disarmante normalità che è maturato questo delitto. A cominciare dalle ultime parole farfugliate da Maria Cristina: «Carlo, Carlo perché mi fai questo?». Nessun litigio a far da prologo all’orrore, nessun battibecco o parola di troppo. Nulla. Anzi, la coppia aveva avuto un momento di intimità poco prima. Poi Maria Cristina si è messa sul divano a guardare la Tv. Carlo le si è avvicinato da dietro con un coltello da cucina, poi gettato in un tombino, e l’ha ammazzata a coltellate. Dopo la moglie, si è avventato sui figli che dormivano in cameretta e nel lettone matrimoniale, alla fine ha messo tutto a soqquadro per simulare una rapina, si è fatto la doccia, cambiato i vestiti ed è uscito intorno alle 23.15 per andare a vedere Italia-Inghilterra al bar con gli amici. Una passione, non corrisposta, per una collega di lavoro. Per questo avrebbe sterminato la moglie, ignara di tutto, e i due figli. La collega lo ha confermato agli investigatori, affermando che l’uomo si era invaghito di lei facendole delle avances esplicite.
«Era tranquillo, sembrava felice. Ha fatto il tifo, dopo l’incontro è tornato a casa da solo», ha detto Marco, il proprietario del pub Zimé dove gli amici si sono ritrovati per seguire la Nazionale sabato sera. «Cristina era solare, allegra, legatissima ai bambini», spiegano i vicini di via Ungaretti. Parole di circostanza, forse ,ma che mai come stavolta fotografano la realtà. «Carlo e Maria Cristina stavano insegnando a Giulia a pattinare. Erano l’immagine della felicità», dice un’altra vicina.
Mentre confessava Carlo si teneva la testa tra le mani: «Ora», implorava, «datemi il massimo della pena».
La parola felicità è quella più usata per raccontare questo delitto e descriverne le tre vittime e il carnefice. Il trionfo della banalità del male.