E ora che l'Inter ha aggiunto un altro astro, lui se ne va, stella cometa che ha illuminato il firmamento nerazzurro facendogli vincere in due anni due scudetti e una Champions, 45 anni dopo la prima di Angelo Moratti, regalandogli con la Coppa Italia anche quel “triplete” che nessuna squadra italiana ha vinto mai. Il sogno si avvera e muore, nell'alba di Madrid, nuovo approdo della stella cometa.
La materia dei sogni nerazzurri si chiama José Mourinho, l'uomo dei trofei, il manager capace di vincere ovunque vada, come un conducator mercenario. Magnetico, istrione, furbo comunicatore, filosofo del calcio, ma anche uomo di passione, capace di versare lacrime calde con il figlio come ha fatto sul campo del Bernabeu. E a proposito di comunicazione, prendi la telenovela del suo trasloco a Madrid. E' stato capace di attirare su di sè tutti i riflettori del mondo, proteggendo la squadra come non mai. Dei quindici titoli messi a disposizione nei suoi ultimi anni, Mourinho ne ha vinti undici.
Milioni di uomini si interrogano sul segreto dei suoi successi. E una risposta forse la si può dare: Mourinho è una straordinaria miscela di rigore, tenacia, competenza, studio applicato al calcio, capacità psicologiche, formidabile istinto di comunicazione. Come con Herrera, come con Sacchi, dopo di lui il calcio italiano non sarà più come prima. Solo Mourinho riesce a trovare l'alchimia tra uomo e sistema, tra giocatore e modulo. Merito di una straordinaria competenza e conoscenza dei suoi avversari. Quale allenatore rivede i nastri di una partita fino a 18 volte? Quale manager ha un archivio digitalizzato di moduli calcistici e partite di 30 anni che gli permettono di consegnare un video degli avversari diretti a tutti i suoi giocatori prima di ogni match? Quale coach internazionale studia le partite come un entomologo o come un biologo con le molecole, gli enzimi, fino all'ultimo atomo del calcio?
Il suo rivoluzionario metodo di preparazione, studiato nelle scuole di calcio, ha permesso di ottenere la squadra che lui vuole. “La squadra che voglio è quella in cui, in un determinato momento e di fronte a una determinata situazione, tutti i giocatori pensano in funzione della stessa cosa simultaneamente: questo è gioco di squadra, questa è organizzazione di gioco”. Di sè, a chi gli chiedeva se prima di ogni partita si sentiva un generale in battaglia, ha detto: "Mi sento come un allenatore. E un allenatore deve sentirsi un leader, deve essere un gestore, deve essere un comunicatore, deve essere tante cose che non so nemmeno definire chiaramente. E' una professione molto complessa".
Complessa come la sua personalità. Lo Special One ha introdotto molti concetti nel calcio, o meglio li ha affinati fino a renderli una sorta di algoritmo. Con Mourinho la palla, da tonda, tende ad essere quadrata. Il suo calcio cartesiano, capace di esaltare all'ennesima potenza la creatività dei suoi campioni, rimarrà nella storia. L'algoritmo di Mou, ora è solo gloria. Si tramuterà nei suoi noti atteggiamenti istrionici. Davvero re Mou è passato come una meteora di gloria nel cielo degli interisti. Perché l'uomo dei sogni, come gli eroi dei western all'italiana, vince e se va.