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venerdì 18 aprile 2025
 
 

Mozzarella e pomodori, anche tra gli scaffali qualcuno ti studia

14/11/2013 

Nel nostro portafogli ce ne sono almeno due. Le utilizziamo ogni giorno per accumulare punti, buoni sconto e comprare prodotti scontati. Sono le fidelity card. Gli ultimi dati Nielsen dicono che il 90 per cento delle famiglie italiane fa abitualmente la spesa usandone una. Anche loro, fotografando il nostro comportamento tra gli scaffali, insidiano la privacy. ».

«In Italia», dice Cristina Ziliani, docente all’Università di Parma e responsabile dell’Osservatorio carte fedeltà, «a differenza degli altri Paesi esiste una legislazione sul trattamento e la tutela dei dati molto severo e rigoroso. Le aziende devono chiedere il consenso all’utilizzo dei dati ma se vogliono fare la profilazione, cioè lo studio del comportamento della clientela, devono chiedere un altro consenso. Non dimentichiamo che sono tutti dati aggregati: si perde il dato individuale perché all’azienda non interessano gli acquisti del signor Rossi ma i comportamenti di alcuni segmenti di clientela».

Nessun problema, quindi?

 «Il consumatore », spiega, «deve preoccuparsi molto di più di quello che scrive sui social network dove i suoi dati diventano di proprietà di Facebook, di cui non si conosce né la politica aziendale né a quale tipo di legislazione debba obbedire».

In Italia le fidelity card esistono da 15 anni ma con la crisi sono aumentate.

 «È un mezzo per risparmiare», dice Ziliani che rassicura: «La legge obbliga a buttare via i dati dopo due anni». Lo scopo è chiaro: fidelizzare il cliente. «Non dimentichiamo », spiega la professoressa, «che ogni punto accumulato vale un centesimo che l’azienda regala al cliente sotto forma di buoni sconto. A fine anno sono milioni di euro. È uno scambio virtuoso: io ti restituisco del valore e in cambio tu mi dai l’opportunità di studiare le tue preferenze d’acquisto e migliorare l’offerta».

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