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martedì 15 ottobre 2024
 
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Msf: "In Yemen situazione disastrosa"

14/06/2015  «La popolazione yemenita sta morendo per soffocamento. La situazione attuale è catastrofica: ci sono 16 milioni milioni di persone a rischio vita». È l'allarme lanciato dal dottor Stefano Zannini, per molti anni operatore sul campo nelle zone più calde del pianeta e oggi Direttore del dipartimento di supporto alle operazioni di Medici Senza Frontiere (Msf) Italia che partecipa alle azioni di assistenza e soccorso nel conflitto yemenita.

- Dal vostro osservatorio, com'è la situazione yemenita?

«La nostra presenza nel conflitto è articolata in 10 progetti di assistenza agli sfollati e chirurgia di guerra. Sul terreno abbiamo dispiegato oltre 500 operatori e uno staff internazionale di una sessantina di persone (tra cui alcuni medici italiani). La guerra prosegue da quasi tre mesi ininterrottamente. Noi segnali di miglioramento noi non ne vediamo, anzi. Questa guerra, dal punto di vista delle tragedie della popolazione inerme, non ha precedenti se non nella Gaza di un anno fa, in Palestina. La popolazione è prigioniera nelle proprie case e senza possibilità di fuga».

- Si dice che Gaza sia una prigione con il cielo, ma è una città: lo Yemen è un Paese con milioni di abitanti.

«Noi siamo presenti da Sana’a, la capitale a Nord, fino al porto di Aden nella zona meridionale: l'asse principale e il più popoloso del Paese. La situazione da un lato è che  la gente può scegliere se morire per strada in seguito ai combattimenti tra le fazioni, o, in alternativa, a casa, sotto i continui bombardamenti, per malattie, fame o carenza di acqua potabile».

- È in atto un blocco navale totale decretato dall' Arabia Saudita e dai suoi alleati con il supporto di Stati Uniti e Gran Bretagna.

«Il blocco totale  sugli aiuti umanitari, sul cibo e il carburante, restringe ancora di più le possibilità di salvezza della gente. La mancanza di carburante e la scarsità di energia elettrica diminuiscono il numero dei punti di approvvigionamento idrico. Questo vuol dire che la gente è costretta a correre seri rischi (allungando i percorsi ai piedi, allo scoperto) per raggiungere l'acqua, quando la trova. Senza carburante e senza elettricità le pompe dei pozzi (lo Yemen è uno dei Paesi più poveri al mondo di acqua potabile) non funzionano. Stiamo parlando di centri densamente popolati. La capitale Sana’a ha 1.700.000 abitanti. Qui non ci sono i campi profughi come altrove (anche se al momento i rifugiati sono più di un milione). La situazione è inversa: la gente scapperebbe ma non ha né dove né come scappare per l'assenza di mezzi e per l'estensione e la violenza dei combattimenti».

- Quindi tutto il Paese è come se fosse un colossale campo profughi in prima linea. Si rischia una catastrofe umanitaria?

«Siamo già alla catastrofe umanitaria. Questo popolo sta morendo al buio e, purtroppo per questo sfortunato Paese, siamo di fronte a una catastrofe invisibile che si consuma in ogni città e villaggio, in ogni casa. Qui non ci sono come altrove eclatanti campi profughi con migliaia di persone malnutrite, malate o in condizioni critiche. Qui l'intero Paese è al fronte ed è come se fosse un gigantesco campo profughi all'inverso. La gente non è in fuga perché non c'è dove e come fuggire. Una trappola senza uscita. Un dato: nelle ultime settimane c'è stata un’escalation di combattimenti e bombardamenti, da parte della coalizione filo-saudita, che ha coinvolto pesantemente la popolazione civile. Paradossalmente, per noi, il numero dei feriti è diminuito. I bombardamenti sono così intensi che i feriti e gli ammalati non possono essere portati negli ospedali. Si preferisce il rischio di morire dissanguati per strada piuttosto che intraprendere un lento, lungo e pericoloso trasferimento a piedi verso le strutture sanitarie operative. Le giovani madri partoriscono in casa con i rischi che si possono immaginare, e così via. Uscire dai propri rifugi è proibitivo e le attività di soccorso sono molto difficili».

- Non ci sono altre Ong o agenzie di soccorso internazionale?

«A parte le nostre strutture c'è qualcosa della Croce Rossa. Anche le agenzie dell'Onu hanno abbandonato il Paese. Non che non siano presenti, ma hanno ritirato gli staff internazionali. Questo equivale alla paralisi, non perché il personale locale non sia in grado di operare efficacemente, ma in una guerra come questa le garanzie di sicurezza per colonne di aiuti umanitari o il soccorso sul campo possono essere garantite solo da trattative dirette tra personale indiscutibilmente riconosciuto e riconoscibile come super-partes (ecco l'importanza degli staff internazionali) con i combattenti delle diverse fazioni. Bisogna essere sicuri che non si spari sui convogli umanitari. Senza questa sicurezza non c'è assistenza efficace possibile».

- È evidente che non serve una di quelle operazioni di “ingerenza umanitaria”sostenute da carri armati e truppe da sbarco che siamo abituati a vedere. Quali sono gli interventi più urgenti?

«Deve essere tolto il prima possibile l'embargo su cibo e carburante. Vanno poi snellite le procedure per il soccorso umanitario. Quella in atto, lo ripeto, è una catastrofe umanitaria che è sotto gli occhi di tutti ma non ha l'attenzione dei media main stream. L'importante è che si dia con urgenza la possibilità concreta alle agenzie e alle Ong di operare in soccorso della popolazione».

Multimedia
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