Nella sua vita Colin Powell, morto oggi a 84 anni per le conseguenze del Covid (anche se la famiglia precisa che era vaccinato) ha stabilito molti record. Durante la presidenza di Ronald Reagan fu consigliere per la sicurezza nazionale, in seguito divenne il più giovane e il primo afroamericano ad assumere l’incarico di capo degli stati maggiori congiunti delle forze armate degli Stati Uniti. Nel 2001, durante la presidenza di George W. Bush fu il primo afroamericano ad assumere l’incarico di Segretario di Stato.
Eppure la sua carriera verrà soprattutto ricordata per un gesto. Quello compiuto il 5 febbraio 2003 davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, quando Powell mostrò, reggendola fra il pollice e l’indice della mano destra una fialetta. Powell voleva dimostrare che il regime iracheno di Saddam Hussein era in possesso di un arsenale di armi chimiche, un’accusa che fu usata come giustificazione della invasione dell’Iraq cominciata poco più di un mese dopo, il 20 marzo 2003. L’Iraq non possedeva quelle armi chimiche e non aveva nessun legame con gli attacchi con l’antrace che colpirono gli Stati Uniti fra l’ottobre e il novembre del 2001.
Qualche anno dopo Powell ebbe l’onestà di ammettere che quella presentazione era una macchia che sarebbe rimasta per sempre nella sua carriera di servitore dello Stato.
Nato ad Harlem nel 1937 da genitori giamaicani, cresciuto a New York, Powell cominciò la sua carriera militare nel 1958, con incarichi prima in Germania e poi in Vietnam, dove fu inviato come consigliere militare di John Kennedy.
Rimasto nell’esercito per 35 anni, fino a raggiungere il grado di generale, Colin Powell collaborò con le amministrazioni repubblicane prima di Reagan e poi di George W. Bush, ma in seguito prese le distanze dal partito repubblicano, fino a dare apertamente il suo sostegno a Barack Obama prima delle elezioni presidenziali del 2008. Oggi gli Stati Uniti lo piangono come uno statista e un patriota.