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domenica 23 marzo 2025
 
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Ecco come abbiamo decifrato i geroglifici

30/10/2014  Continua la marcia di avvicinamento all'uscita del nuovo romanzo di Wilbur Smith, "Il dio del deserto", ancora ambientato nell'antico Egitto. Intanto gli esperti del Museo egizio di Torino ci aiutano a conoscere la storia di questa affascinante civiltà e della sua lingua.

Se non ci fosse stato il copto, oggi gli studiosi non sarebbero in grado di leggere i geroglifici. È risaputo infatti che è praticamente impossibile decifrare qualsiasi sistema di scrittura se non si conosce la lingua che esso esprime, o almeno una lingua affine.

La parola «copto» deriva dall’arabo qub (egiziano kubti, dal greco Aigyptos, Egitto). Era usata dagli arabi, che conquistarono l'Egitto nel 640 a.C., per indicare la popolazione egiziana indigena, come anche la loro lingua. All'epoca la lingua del Paese era ancora l’egiziano, la stessa parlata all’epoca dai faraoni, che dal 3000 a.C. in poi si era sempre scritta in geroglifico e nelle sue forme o derivati corsivi (lo ieratico, a cui si aggiunge in seguito il demotico).

La scrittura e la letteratura copta sono un portato della cristianizzazione dell'Egitto in epoca romana. I Vangeli erano scritti in greco, lingua che però, anche se aveva convissuto con l’egiziano fin dalla conquista di Alessandro Magno nel 332 a.C., era parlata solo da una minoranza. Fu l’esigenza di convertire la popolazione indigena a spingere gli intellettuali cristiani (anche attingendo a sperimentazioni più antiche in questo senso) a sviluppare un sistema di scrittura della lingua egiziana basato sul greco, che permettesse quindi di tradurre i testi religiosi e comporne di nuovi mantenendo invariati dei termini “tecnici” fondamentali della religione cristiana, come ekklesía, christós, baptízo, monachós, parádeisos.

Per rendere i suoni che non esistevano in greco si usarono alcuni segni presi dalla scrittura corsiva, il demotico. Dopo la conquista araba e con l’islamizzazione dell'Egitto il copto venne gradualmente marginalizzato e sostituito dall’arabo. La lingua parlata scomparve qualche secolo fa, ma quella scritta sopravvisse nella pratica liturgica della chiesa cristiana d’Egitto.

Già dal Seicento, con Athanasius Kircher, fra gli studiosi che introdussero lo studio del copto in Europa, si era ipotizzato che questo fosse la lingua dei faraoni. Era convinto di ciò anche Champollion, che lo studiò approfonditamente, prendendo anche lezioni da un prete egiziano a Parigi. Fu una strategia vincente, che gli permise di trovare la chiave dei geroglifici ed essere il primo uomo a leggere di nuovo l’antica scrittura egiziana 1500 anni dopo la sua scomparsa.

Federico Poole
Vai al libro Il dio del deserto di Wilbur Smith

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