«Quant’è bello pregare con gli amici! È un’esperienza straordinaria che ci fa crescere, per questo ringrazio i fratelli cristiani che ci invitano a rompere il digiuno a casa loro». Le parole dell’imam Mahmoud Asfa della Casa della cultura islamica di via Padova sintetizzano l’Iftar del 9 luglio organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio a Milano. Per i musulmani l’Iftar è il pasto serale che durante il Ramadan interrompe il digiuno e che diventa un’occasione di condivisione.
Nella sede di Sant’Egidio gli amici con cui cenare sono ebrei, cristiani e musulmani. Singoli, come il giardiniere ghanese Ahmed stravolto da una giornata di lavoro sotto il sole, e rappresentanti delle religioni monoteistiche della città. Tra i cristiani ci sono il movimento dei Focolari e la Chiesa metodista, poi la Comunità ebraica e varie realtà islamiche: l’Istituto islamico di viale Jenner, il Caim che riunisce trenta associazioni di Milano e provincia, la Casa della cultura islamica di via Padova, i Giovani musulmani d’Italia, la Moschea Mariam di Cascina Gobba, l’Unione albanese musulmani d’Italia, i sufi della Confraternita Jerrahi-Halveti, i turchi di Alba (accanto a loro ci sono i curdi; un altro muro che cade). Il programma della serata è semplice: nella sede di Sant’Egidio il rito guidato dagli imam con la rottura del digiuno mangiando datteri e latte; in contemporanea, nella chiesa adiacente la preghiera cristiana. Gli uni accanto agli altri, ciascuno secondo la propria tradizione. E poi la cena tutti insieme, tra amici.
Spiega Giorgio Del Zanna della Comunità di Sant’Egidio: «Abbiamo iniziato questo momento come risposta al clima di islamofobia seguito all’11 settembre 2001; vogliamo riaffermare che è possibile e bello vivere nella stessa città tra persone di fedi diverse e che va garantito il diritto di culto». In Italia sono oltre un milione e mezzo i musulmani. D’estate, durante il Ramadan, rimanere senz’acqua, cibo, sigarette e rapporti sessuali dall’alba fino al tramonto per un mese, è particolarmente difficile per il caldo e le giornate più lunghe. Quest’anno, con il mese sacro iniziato il 18 giugno, il digiuno finisce attorno alle 21, mentre d’inverno terminerebbe alle 17. Infatti, stabilito da Maometto in base al calendario lunare, il periodo del Ramadan cambia ogni anno e in una trentina d’anni fa il giro dei 365 giorni.
Una giovane di origine egiziana ne spiega il significato: «È un sacrificio offerto al Creatore che mira alla purificazione sia spirituale che fisica, si acquisisce una disciplina e aiuta a metterci in contatto con chi vive di privazione, come i poveri e i malati». Al momento dei saluti finali il pensiero va «al Medio Oriente, dove la violenza colpisce cristiani e musulmani soffocando ogni tentativo di dialogo per la pace». Durante la preghiera si ricordano i sacerdoti rapiti in Siria (il gesuita Paolo Dall’Oglio, il vescovo siro-ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il metropolita greco-ortodosso Boulos Yazigi), mentre all’Iftar milanese partecipano alcuni profughi scappati da Aleppo, la città che era un simbolo della convivenza tra uomini di fede diversa e che oggi è sotto assedio e svuotata di metà dei suoi abitanti. Mohsen Mouelhi dei sufi Jerrahi-Halveti è invece appena tornato da Sousse in Tunisia, teatro degli ultimi attentati: «Una città martire, uniamoci a chi soffre con la preghiera».
Gli fa eco Davide Piccardo, portavoce del Caim: «Non si può mai accettare che la religione venga associata per giustificare la violenza, l’intolleranza è una minaccia per tutti. Anche noi a Milano abbiamo la responsabilità di costruire relazioni tra uomini di fede, ritrovandoci in quella fratellanza prescritta da Dio». Per Piccardo è la bellezza di momenti come l’Iftar di Sant’Egidio: «È scritto anche nel Corano: ogni volta che ci vediamo, ci consigliamo il bene vicendevolmente. È la sincerità del dialogo tra amici». Tutti citano gli oltre 70mila siriani e eritrei che in due anni sono transitati da Milano per raggiungere il Nord Europa. L’accoglienza ai profughi sta infatti unendo persone di fedi diverse, come quella organizzata al Memoriale della Shoah. Qui, nei sotterranei del Binario 21 della Stazione Centrale, gli stessi da cui partivano gli ebrei nei treni per Auschwitz, ogni notte sono ospitati ragazzini eritrei in fuga dalla dittatura e siriani che hanno visto morire i familiari per le bombe del quinto anno di guerra. Sant’Egidio gestisce l’accoglienza insieme agli amici della Comunità ebraica, mentre un ragazzo musulmano è presente ogni notte accanto ai profughi. La sera, parrocchie cattoliche, la Chiesa anglicana e gli ebrei Lubavitch si alternano nel preparare la cena. «Affratellarsi all’altro – conclude Del Zanna – è la grande lezione del cardinal Carlo Maria Martini, quando proprio a Milano parlava del dialogo non su se stesso, ma di dialogo tra e per la gente».