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domenica 13 ottobre 2024
 
Il messaggio di Pasqua
 

Myanmar. Dopo 3 anni di guerra civile: «Per Pasqua abbracciate l'alba della pace»

29/03/2024  A tre anni dal golpe che ha annientato il processo di democratizzazione, è scoppiata una vera e propria guerra civile nel Paese del sud-est asiatico. Per Pasqua il presidente della Conferenza episcopale del Myanmar ha rivolto alla popolazione un appello «per porre fine alle lunghe notti di conflitto e di paura: abbracciamo insieme l'alba della pace»

Dalla fine del mese di aprile in Myanmar scatterà la leva obbligatoria per tutti i birmani tra i 18 e i 35 anni imposta dalla giunta che ha effettuato il golpe nel febbraio del 2021. La misura riguarderà sei milioni di uomini, e si calcola che ogni anno in 50-60mila dovranno prestare servizio nell’esercito, impegnato nella guerra civile contro le forze di resistenza armata nate dopo il colpo di stato. Così l’esercito costringerà ancora più birmani a combattere l’uno contro l’altro. È in questo contesto che l’arcivescovo di Yangon, il cardinal Charles Bo, che è anche il presidente della Conferenza episcopale del Myanmar, durante la Quaresima ha rivolto un appello ai cristiani e a tutti i birmani per «porre fine alle lunghe notti di conflitto e di paura», e a pregare «affinché Dio ammorbidisca i cuori di coloro che sono radicati nella violenza e li renda capaci di abbracciare il cammino della riconciliazione.

Il messaggio arriva anche a 3 anni dal golpe che ha spazzato via la già fragile democrazia del Paese del sud-est asiatico, rendendolo teatro di gravi massacri. La lettera del cardinale Bo ha un titolo emblematico e che richiama intrinsecamente i valori della Pasqua del Signore: "Abbracciare l'alba della pace: un appello a porre fine alle lunghe notti di conflitto e di paura”. «Cari fratelli e sorelle amati - scrive l’arcivescovo di Yangon, come riporta AsiaNews -, mentre intraprendiamo questo sacro viaggio attraverso la stagione della Quaresima, un tempo per l'introspezione e la riconciliazione, uniamoci in risposta al forte appello alla pace che emana dal profondo del cuore di papa Francesco e che riecheggia in tutto il nostro mondo ferito. Insieme, inginocchiamoci in solidarietà, implorando l'Onnipotente di dissipare le tenebre del conflitto e di inaugurare una nuova alba di speranza e armonia. […] Siamo al fianco del Papa quando esorta le nazioni a rinunciare al falso fascino della violenza e ad abbracciare il potere trasformativo della pace. […] Oggi, mentre assistiamo al devastante bilancio dei conflitti anche nella terra di Gesù, in Ucraina, e nel nostro stesso territorio, alziamo la voce in una fervente preghiera per la pace. Imploriamo l'Onnipotente di concederci il dono divino della pace infusa nella giustizia, guidandoci verso un futuro più luminoso. Esaltiamo le abbondanti risorse umane di cui è dotata la nostra terra e coltiviamole per farle fiorire, invece di lasciarle appassire tra i tumulti della guerra. Investire nella prossima generazione significa investire in una pace duratura. […] Insieme, il mondo si impegni a trasformare gli strumenti di guerra in strumenti di pace e tutte le paure in una fiducia incrollabile. Che le nostre parole riecheggino il linguaggio universale della fraternità e che le nostre azioni siano guidate dalla ricerca della pace. In questa sacra ricerca della pace, invochiamo la grazia divina affinché ammorbidisca i cuori di coloro che sono radicati nella violenza e li renda capaci di abbracciare il cammino della riconciliazione. Shanthi, Shalom, Pace, Salaam».

Intanto, se da un lato la giunta militare proroga la legge d’emergenza che implica con ogni probabilità di posticipare al 2025 eventuali elezioni, dall’altro lato, le forze coalizzate di milizie etniche, ovvero i gruppi di resistenza birmani e il governo di unità nazionale in clandestinità, sono impegnate dallo scorso ottobre in una contro-offensiva che sta mettendo a dura prova i golpisti. Negli ultimi dodici mesi in cui la giunta guidata dal generale Min Aung Hlain ha cercato di schiacciare l’opposizione ha però buttato benzina sul fuoco aiutando a trasformarla in una compatta ribellione armata. I militari in questo lasso di tempo hanno anche perso il controllo diretto del 60 per cento del territorio birmano rispondendo con rabbia e ondate di bombardamenti indiscriminati con aerei e artiglieria. Così, «la crisi dei diritti umani già in deterioramento in Myanmar si è trasformata in una caduta libera, nell’insufficiente attenzione del mondo verso la miseria e il dolore del suo popolo», l’Alto Commissario per i Diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Türk.

Intanto oltre 20mila persone arrestate in questi anni con motivazioni politiche sono ancora privi della libertà e spesso sottoposti a tortura e abusi senza alcun un processo. Tra essi quasi tutto l’ex governo democratico, inclusa la sua esponente più rappresentativa, la Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi. Con i combattimenti che dal golpe ad oggi avrebbero causato circa 45mila vittime, tra cui 13mila bambini, mentre da ottobre l’offensiva delle milizie etniche ha aggiunto almeno 300mila profughi agli oltre due milioni già presenti.

In questo contesto la Corte internazionale di Giustizia ha ordinato al Myanmar la protezione della minoranza Rohingya, già oggetto - anche sotto il governo di Aung San Suu Kyi - di espulsioni di massa. La Corte ha chiesto anche ai militari di liberare i prigionieri politici e di restituire il potere ai civili. «Fra le tante crisi nel mondo – ha concluso l’Alto Commissario Onu Türk – è importante che nessuna sia dimenticata. Il popolo del Myanmar ha sofferto tanto a lungo e dalla fine di ottobre dello scorso anno la situazione si è addirituttura ulteriormente deteriorata».

 
 
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