Di Nanni ce n’è uno solo. Perché il cinema di Moretti è inconfondibile. Per certi geniale, per altri pressoché insopportabile. Ma Nanni non è uno solo. C’era lo splendido quarantenne di Caro diario, poi c’è stato l’acuto cinquantenne de Il caimano (punto più alto di un cinema di feroce autocritica sociale cresciuto da Ecce Bombo fino a Palombella rossa).
Il Nanni Moretti di oggi è un sessantenne smarrito. Lo si era già intuito con Habemus Papam, delicata intrusione in un mondo della fede diviso tra pompose istituzioni e solitudini spirituali. Lo si capisce guardando Mia madre, la nuova pellicola uscita nelle sale con cui sarà in concorso al 68° Festival di Cannes.
Stavolta Moretti non si confronta con la morte improvvisa, accidentale di una persona cara (come ne La stanza del figlio, il film suo più bello). La cinepresa guarda in faccia la morte naturale di chi giunge, sfinito, a fine cammino.
Illusorio, però, che si possa essere preparati. Specie se l’anziana che vedi morire è la tua mamma. Semplice, ma non banale. Moretti fa entrare lo spettatore nella pelle della protagonista, ansiosa regista (Margherita Buy, suo alter ego) alle prese con il megalomane attore americano (John Turturro) sul set e con il difficile ruolo di figlia, quando va a trovare la madre malata. Si finisce così sballottati in un frullatore di sentimenti e di emozioni di vita quotidiana. Realtà e ricordi s’intrecciano. Più passano i giorni, più la malattia avanza, più il film si complica, più lei si sente inadeguata. Alla vita. A tutto.
Ciò che colpisce è l’assenza di conforto morale, di fede, di preghiera. Di una qualsiasi speranza. Un ateismo, un vuoto incolmabile che Moretti ha l’onestà di non camuffare.
Disse una volta di preferire la definizione di non credente alla parola ateo, per poi aggiungere: «Non sono credente e mi dispiace». Appunto.
MIA MADRE
Di Nanni Moretti, drammatico, con Margherita Buy, Nanni Moretti e John Turturro