Neapolis, città nuova, fondata dai greci oltre 2000 anni fa con l’obiettivo di accogliere chi veniva dal mare. Napoli 2023, città che ogni giorno rinnova la sua generosità d’animo e apre le sue braccia. Accoglie nel tempo dopo Cristo con la forza dei gesti compiuti dall’arcivescovo metropolita di Napoli, monsignor Domenico Battaglia che va incontro ad una nave piena di migranti sbarcata nel porto di Napoli. Forestieri poveri, uguali a quelli giunti in passato e che hanno trovato il loro posto a Napoli. Presenze che pure nel presepe fanno parte della vita della comunità.
Dalla chiesa, quella delle Sacramentine, in cui abitualmente prega don Mimmo, al porto sono poche centinaia di metri. Don Mimmo, ‘arcivescovo di strada’ li ha compiuti a passo svelto. “Fate questo in memoria di me. Fatelo, fallo in memoria di me”. La riflessione sulla preghiera in cui don Mimmo era assorto tra i banchi delle Sacramentine era partita dalle parole che animano l’esistenza di un sacerdote ed è proseguita fino al porto. Fino all’arrivo di quei migranti. Durante il suo cammino per arrivare al mare e incontrare “un gruppo di Samaritani, esperti nel cavalcare le onde del Mediterraneo come quelle della sofferenza umana” le parole di Cristo non risuonavano nell’orecchio di don Mimmo ma nel suo cuore.
“Il cuore, infatti, quando abita il silenzio si trasforma in un organo di senso perché diventa come un orecchio capace di ascoltare, ma attraverso l’arte dell’ascolto decifra il senso dell’esistenza, dei sentieri personali come dei percorsi comunitari, della vita immensa di cui l’universo è pieno come della mia piccola, semplice, umile vita, dono ricevuto gratuitamente, capitale da spendere con generosità”. Quella generosità d’animo cristiano che lo ha portato a celebrare, casualmente, una ricorrenza importante, ovvero i suoi 35 anni di sacerdozio nei luoghi in cui chi soffre è ancor più fratello. Ecco che don Mimmo torna come ogni giorno agli ultimi e nel giorno del suo anniversario, si mette in cammino.
“Mi sono accorto – racconta – di non aver interrotto l’adorazione e che il Cristo che mi parlava dall’Eucaristia era lo stesso che, attraverso quei volti, sofferenti che chiedevano giustizia e pace, mi parlava al cuore, chiedendomi ancora una volta: ama e fallo in memoria di me». Per Battaglia sono questi «i poveri che ci salvano, che ci offrono l’opportunità di amare fino in fondo e gratuitamente, il loro volto ci chiede di restare umani, disseppellendo la nostra umanità dai detriti dell’egoismo”. È ai migranti della nave Sea Eye 4 giunta al porto di Napoli che si levano le sue parole “Ci salvano i 107 fratelli e sorelle – scrive nella lettera a loro indirizzata – che sono arrivati a Napoli con la nave Sea-Eye 4 e noi faremo memoria di Lui lasciandoci salvare e accogliendoli”.
L’arcivescovo, che nel pomeriggio di lunedì li ha accolti al Molo 21, ha anche benedetto le salme di due persone che non sono sopravvissute al naufragio, una delle quali è la madre di un bambino di 10 mesi. “Quando un bambino in braccio a sua madre mi ha dato la mano nel tentativo di afferrare la mia mi è parso di ascoltare nel cuore la voce del Signore: non sarai solo, ti darò io stesso una mano attraverso i piccoli e i poveri, gli emarginati e gli esclusi che incontrerai sul tuo cammino”, così scrive nella sua lettera. Quattro pagine dense di umanità e di speranza, quella che a salvarci potranno essere proprio loro: gli ultimi, gli emarginati. “Sì, i poveri ci salvano - questo il messaggio di Battaglia - come ha salvato la mia speranza una donna che tra le lacrime è scesa dalla nave, si è prostrata e ha baciato la terra che per lei aveva il sapore della speranza e noi faremo memoria di Lui se la speranza pervaderà davvero e fino in fondo la nostra vita, condividendola con coloro a cui l’indifferenza umana l’ha sottratta. E oggi, ricordando il giorno in cui per la prima volta pronunciai da prete le parole della Cena, per fare fino in fondo in sua memoria, non ho altra strada che farmi, insieme alla Chiesa napoletana che il Signore mi ha affidato, casa accogliente - conclude - città ospitale, voce disposta a gridare nel deserto dell’indifferenza il dovere dell’accoglienza, il sacramento dell’ospitalità”.