La barella come la croce di Gesù, la sofferenza vissuta nell’amore e la speranza negli occhi di chi è malato. L’altare allestito nella corsia dell’ospedale diventa il posto dove ricevere la carezza di Dio attraverso la celebrazione dell'arcivescovo monsignor Domenico Battaglia. Ed è così che nella Giornata del malato si è aperto il Sinodo in corsia. Nell’ospedale Santa Maria della Pietà dei i Camilliani si ascolta, ci si confronta, si conforta e si prega.
Davanti al vescovo, per tutti, semplicemente don Mimmo, ci sono i pazienti che sono riusciti ad alzarsi dal proprio letto di degenza, qualcuno si è portato anche la flebo, altri, in vestaglia e pantofole, solo il telefonino. Ma quelle sedie su cui si sono poggiati per pregare insieme a don Mimmo per un attimo si sono trasformate in un treno ‘Lourdes express’. Don Mimmo li ha condotti lì attraverso un simpatico episodio accaduto durante la celebrazione della Messa, ma quella destinazione, non era un caso. A dare la spinta è stata una semplice telefonata di un parente che chiedeva al proprio caro ricoverato di cosa avesse bisogno. ‘Una bottiglia di acqua’ ha risposto la donna. E quella risposta data mentre il Vescovo predicava è stata lo spunto per ritrovarsi sotto la grotta insieme a tutti gli ammalati del mondo. “Anche a Bernadette fu detto di scavare e cercare l’acqua che avrebbe dato speranza” racconta il vescovo che ricorda il suo primo viaggio a Lourdes.
“Quattro mesi dopo la mia ordinazione un amico parroco mi affidò i fedeli della comunità per accompagnarli a Lourdes - racconta - io non volevo andare perché dicevo che in diocesi c’erano tante madonnine. Lui mi disse di mettere da parte il mio orgoglio di prete giovane e di andare. E su quel treno ho avuto modo di conoscere la sofferenza e l’amore. Ho ascoltato gli ammalati, ci ho parlato e li ho confessati. Tutti in quel viaggio. Tutti tranne una. Lei si chiamava Maria e aveva 45 anni. Non riuscivo ad avvicinarmi a lei. Era su una barella, paralizzata, muoveva solo la testa e parlava. Non sapevo cosa dirle. Un giorno però davanti alla grotta mi chiama. Mi fa notare che ho parlato con tutti tranne che con lei. Le rispondo ma capisce che le mie sono inutili scuse. Poi mi dice di essere felice. Mi chiedo come possa esserlo con quelle condizioni ma lei insiste e mi dice: so che Gesù ha salvato il mondo su una croce e io so che se riesco ad unire la mia sofferenza alla sofferenza di Gesù vuol dire che la mia vita non è inutile, questa barella è la mia croce, se offro la mia sofferenza al Signore la mia vita ha un senso. Maria usò queste parole nella simbologia dell’impotenza, intanto io a testa bassa mi allontanavo mortificato, ma mi richiama e mi dice ancora: non vengo a Lourdes per chiedere il miracolo ma perché sono devota, alla Madonna chiedo la forza per non tradire mai il Vangelo ed essere fedele a questa mia storia”.
Ed è così che monsignor Battaglia condivide con i malati il mistero della sofferenza e del dolore. Nella giornata dedicata alla Madonna di Lourdes Monsignor Battaglia non si è risparmiato e ha voluto avvicinarsi anche a chi non poteva alzarsi dal letto. A loro ha portato la carezza e una coroncina del Rosario. E poi ai medici e gli infermieri il cui ‘Sguardo arriva prima delle mani ed è la finestra del cuore - dice - la compassione e la tenerezza che donando attraverso le mani e il loro lavoro è prezioso”. Ed è così che i malati aiutano Gesù a portare la sua sofferenza ed è così che nell’ospedale dei Camilliani i malati continueranno ad ascoltare ed essere ascoltati dalla chiesa e a lavorare al suo fianco per un cammino sinodale da compiere insieme passo dopo passo.