La notizia attesa alla fine è arrivata di domenica: Mondadori acquista la divisione libri di Rizzoli per 127,5 milioni di euro. Il primo editore di libri in Italia (Mondadori, Einaudi, Frassinelli, Electa, Sperling & Kupfer, Piemme...) accorpa dunque il secondo (Rizzoli, Bompiani, Marsilio, solo Adelphi, per volontà di Roberto Calasso, resta fuori dall'operazione), costituendo un gruppo che controllerà il 38-39 per cento del mercato librario e il 25 per cento della scolastica e avrà un fatturato di 500 milioni di euro. In questo modo Mondadori rafforza la sua posizione dominante nel settore dell'editoria, formando un colosso che qualcuno ha già soprannominato - e non è un titolo elogiativo - "Mondazzoli". Rizzoli, dal canto suo, cede un settore ritenuto non più strategico per ridurre il forte indebitamento dell'azienda ed evitare un aumento di capitale.
Dal punto di vista prettamente economico-finanziario, l'operazione ha dunque un senso per entrambi gli attori in campo. Diversa è invece la valutazione da un punto di vista culturale ed editoriale. Guardando al primo aspetto più che al secondo, il presidente del Consiglio Renzi si era dichiarato neutrale. Guardando più al secondo aspetto che al primo, il ministro della Cultura Franceschini aveva espresso preoccupazione.
Le ragioni che inducono a esprimere valutazioni preoccupate e negative sono molte. In primo luogo, se crediamo che il pluralismo sia un bene, è evidente che da oggi il mercato dell'editoria italiano è meno pluralista. L'obiezione che le concentrazioni sono una tendenza dell'economia globale, anche in questo settore, non inficia l'affermazione precedente, tanto più che il nostro, il mercato librario italiano, è strutturalmente piccolo (più piccolo di quello di Francia e Germania, ad esempio).
Non è automatico che l'aggregazione determini una perdita di indipendenza dei vari marchi, anzi, è nell'interesse di un editore intelligente mantenere al proprio interno un'offerta varia e ricca, in modo da intercettare nel modo più competo i gusti del pubblico. Tuttavia, non è infondato pensare che l'indipendenza era meglio garantita dall'esistenza di gruppi e proprietari diversi e concorrenti, che da un unico gruppo e proprietario.
E a proposito di concorrenza libera e aperta, dobbiamo aspettarci che essa venga rafforzata o limitata da questa operazione? Sarebbe interessante sapere che cosa hanno da dire in proposito i fautori del liberismo, che della libera concorrenza fanno un dogma. Non dimentichiamo che è accaduto nel settore dei libri un fatto che possiamo reputare equivalente in ambito calcistico all'aggregazione di Milan e Inter: sì, è come se il Milan avesse acquistato l'Inter, perché fino a ieri Mondadori e Rizzoli erano i grandi rivali, i maggiori e più potenti concorrenti del settore.
Di sicuro non sarà resa più facile la vita ai piccoli editori, costretti a fronteggiare una potenza in grado di sfruttare sinergie e mettere nel mercato ingenti capitali. E sarà probabilmente più difficile che sul mercato si affacci un nuovo editore.
Ogni concentrazione porta con sé quella che viene eufemisticamente definita "razionalizzazione dei costi", ovvero un taglio della spesa, spesso della forza lavoro: accadrà anche questa volta?
Quando l'operazione fu annunciata, una serie di scrittori capeggiata da Umberto Eco firmò una petizione. Oggi il fronte degli scrittori, salvo qualche eccezione, sembra rassegnato. Esprimere vaghe speranze, come ha fatto ad esempio oggi su La Stampa Nicola Lagioia, ultimo premio Strega (a proposito: che ne sarà dei premi letterari, adesso?), che non ci siano conseguenze per l'indipendenza delle singole case editrici e che i vari marchi, pur della stessa proprietà, continuino farsi concorrenza, significa non voler affrontare la questione: possiamo delegare alla buona volontà e alla discrezionalità di un soggetto economico valori come l'indipendenza, il pluralismo economico, la libera concorrenza? O non è invece necessario costruire un quadro legislativo a protezione e incentivo di tali valori?
La parola passa ora all'Autorità per la libera concorrenza (l'Antitrust), la quale però potrà muoversi solo nel quadro delle leggi vigenti e imporre, casomai, la cessione di qualche marchio (per questo c'è uno sconto nel prezzo di acquisto rispetto alle cifre precedenti).
La vicenda denuncia ancora una volta l'assenza delle politica, a livello europeo, più che nazionale: manca una normativa adeguata che, nel rispetto della libertà imprenditoriale, impedisca eccessive concentrazione in ambito culturale, mettendo a repentaglio il pluralismo delle voci e degli attori in gioco.