Il reparto di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale della clinica Mangiagalli di Milano è uno dei più avanzati in Italia e in Europa. Sono settemila i bambini che vi nascono ogni anno, altrettante donne partoriscono nelle numerose salette sterili, allineate lungo un corridoio e “armate” di tutto punto per consentire un parto il più possibile regolare. Le partorienti attendono con ansia il loro turno, i padri in attesa si pizzicano con le unghie i palmi delle mani. La nascita di un bambino cambia la vita dell’uomo, a partire dalle cose più semplici, dal “cosa fare” con le cose pratiche, con il latte, le pappe, i pannolini, i primi pianti, il ruttino… In un altro corridoio non lontano molti papà e mamme, a turno, si prodigano per imparare dalle puericultrici i primissimi rudimenti della dura professione di genitore. Le processioni di nonni e amici si susseguono ordinate nella grande sala di ricevimento per vedere, toccare, “spupazzare” i nuovi arrivati, pronti, a quel punto, a essere catapultati nel “mondo di fuori”.
Al piano di sotto, invece, si soffre e lotta. Il Reparto di Terapia
intensiva neonatale vive una vita sua, staccata da quella che si svolge
gioiosa e giocosa all’altro piano. L’atmosfera è più calma, il silenzio
vi regna sovrano. Per entrarci occorre prepararsi, camice verde tipo
“usa e getta”, un approfondito lavaggio delle mani. Il reparto prende in
carico i bambini più sfortunati, quelli con gravi patologie e, tra
loro, soprattutto quelli nati prematuri. «Nei due reparti lavorano 25
medici a tempo pieno», spiega il professor Fabio Mosca, il primario di
quello che è il fiore all’occhiello della Mangiagalli. «Il reparto ha la
peculiarità non solo di curare i neonati gravemente patologici ma anche
di seguirli dopo la dimissione», aggiunge Mosca. È il cosiddetto
follow-up.
I bambini, dopo il parto vengono collocati nelle incubatrici,
seguiti secondo le singole necessità per lunghi giorni e settimane
finché gli organi si stabilizzano e man mano i loro corpicini diventano
sempre più autonomi. «Per fare un esempio, un bambino che nasce di 25
settimane e con un peso di 600 grammi sta da noi in media quattro mesi
con tutto un “saliscendi” di problemi piccoli e grandi. Quando
finalmente va a casa insegniamo ai genitori come accudirlo da soli con
l’aiuto di una psicologa e dei medici - l’otorino, l’oculista, il
neurologo, il fisiatra, i nutrizionisti e tutti gli altri specialisti -
che fin lì lo hanno seguito e che, di lì in poi e fino all’età di circa
10-12 anni, lo accompagneranno nella crescita in forma ambulatoriale
vedendolo periodicamente». Attualmente il reparto ha diverse migliaia di
bambini in follow-up. «Il bello del nostro reparto è che ha un’anima,
condizione necessaria per raggiungere l’obiettivo di migliorare le cure e
di permettere al genitore di vivere con serenità le fasi, non facili
all’inizio, di accompagnare il figlio lungo un percorso complicato»,
spiega il primario. «Il nostro primo compito, oltre alle cure, è quello
di aiutare i genitori ad accettare il loro figlio quando le loro
aspettative, com’è ovvio, erano di avere un bambino normale». I medici e
gli infermieri per lavorare qui, insomma, devono affrontare una
complessità di avere doti umane e professionali particolari per trattare
adeguatamente questi delicati casi. «Al genitore viene detto sempre
tutto e mai nascosto niente», conclude il Mosca: «è raro che, ben accompagnato, il genitore
non accetti il responso del medico».
Un bambino è “prematuro” quando nasce prima della 37ma settimana. In Italia, dove ogni anno nascono 600mila bambini, 60mila di loro, cioé circa il 10%, nascono prematuri e sono quindi a rischio. È evidente che più ci si avvicina a questa fatidica soglia meno patologie il bambino rischia di avere. I problemi seri cominciano però sotto le 32 settimane: 25-30mila casi all’anno secondo le statistiche. È con bambini sotto quella soglia che il reparto di Terapia intensiva neonatale della Mangiagalli, come tutti i suoi omologhi in Italia, deve confrontarsi ogni giorno. «La soglia di sopravvivenza si sta comunque abbassando sempre più», precisa il professor Fabio Mosca. «Un neonato che nasce a 25 settimane di età gestazionale ha circa il 75% di possibilità di cavarsela. Trent’anni fa morivano tutti. Alla 24ma settimana ne sopravvive la metà, alla 23ma il 30%. Ogni giorno di età gestazionale guadagnato nella fase che va dalla 23.ma alla 25.ma settimana fa in altre parole aumentare considerevolmente la possibilità di sopravvivenza». Oltre al dato temporale, occorre però fare attenzione anche al peso: «La prematurità che più preoccupa», sottolinea Mosca, «è quella con bimbi con peso inferiore al chilo e mezzo, dato che riguarda circa lo 0,9-1% di tutti i nati, cioè 6mila casi all’anno». La soglia di rischio comincia però sotto i 2,5 chili di peso alla nascita, dato che riguarda il 6-7% dei nati.
«Sotto il chilo e mezzo, dei 6mila neonati italiani, ne sopravvive oggi circa il 90%, più al Nord che al Centro-Sud», rivela il primario. «Trent’anni fa di questi neonati ne sopravvivevano solo il 30-40%; il progresso fatto nel frattempo è notevole e infatti oggi abbiamo a disposizione nuove terapie e tecnologie». Uno dei ritrovati più efficaci non riguarda però la tecnologia ma l’umanizzazione della degenza: «Questi bambini guariscono meglio se anche i genitori collaborano fattivamente: un tempo erano quasi completamente esclusi dalle cure, oggi invece abbiamo capito che possono essere una grande risorsa». Ma anche alcuni piccoli accorgimenti, che si notano girando per i reparti, hanno segnato un cambio di passo nell’aumentare il tasso di sopravvivenza: «Prenda ad esempio i filmati sulle norme di igiene da osservare da parte di tutti in questi ambienti protetti, che mandiamo in onda con più televisori sistemati nei punti strategici», dice con una punta d’orgoglio Mosca, «sembrerà incredibile ma danno un grande aiuto nell’evitare complicazioni nella degenza».
La prematurità ha solo in parte cause ignote. Altre ragioni sono più oggettivamente identificabili, visto che i parti prematuri sono in aumento nelle popolazioni più industrializzate: «L’età media del primo figlio delle mamme è sempre più avanzata», spiega il dottor Mosca, «qui da noi in Mangiagalli, ad esempio, la media di età delle partorienti nell’anno 2010 è stata pari a 32-33 anni».
Altre motivazioni riguardano i modificati stili di vita delle giovani donne nel corso degli ultimi decenni: «Oggi la donna fa in genere una vita più stressante: lavora, fa carriera, fuma, beve… Certamente è una vita meno sana di un tempo». Infine, una terza causa, anch’essa in crescita: «Le tecniche di procreazione medica assistita producono spesso parti plurimi, anche trigemini. Per esempio da noi abbiamo una percentuale di parti gemellari pari al 4-5% dei nati, un dato clamorosamente alto, pari a 4-5 volte la media nazionale». Quali patologie, poi, sviluppano questi bambini?. «Le patologie dei neonati prematuri sono legate allo sviluppo degli organi interni», risponde il primario. «Non essendo ancora completamente formati rischiano di non funzionare bene. Fra gli organi più a rischio ci sono senz’altro i polmoni, quelli più importanti perché assolutamente vitali. Ma anche in questo campo sono stati fatti negli ultimi anni progressi molto importanti per permettere la sopravvivenza dei neonati».
Come e forse più che per gli adulti, anche in un reparto di rianimazione neonatale la lotta fra la vita e la morte presenta casi al confine tra l’accanimento terapeutico e la cura. «Il dubbio sul “se” e sul “come” il bambino sopravvivrà si pone talvolta nella scelta del medico, che deve o meno attivare certe cure, anche molto pesanti, intrusive, su questi corpicini inermi». La decisione qui spetta ai genitori, a cui il medico deve la giusta assistenza, che va ben oltre la parte più tecnica: «I genitori devono essere guidati nelle loro scelte, soprattutto quando il bambino ha patologie molto gravi. Qui il ruolo del medico è fondamentale, non sempre infatti il genitore ha la freddezza e, tanto meno, le competenze necessarie per prendere la decisione più giusta».
Il professor Mosca è anche presidente dell’Aistmar, Associazione Italiana per lo Studio e la Tutela della Maternità ad Alto Rischio, Onlus fondata nel 1983 dai professori emeriti Candiani e Marini. L’Aistmar è un’associazione di volontari, spesso reduci da situazioni in cui i figli sono nati prematuri, che coadiuva il buon funzionamento del Servizio di Follow Up della Clinica Mangiagalli. Grazie alle donazioni private e ad altre modalità di raccolta dei fondi, l’associazione garantisce nella struttura la presenza continua di un’équipe di specialisti (pediatri, fisiatri, neuropsichiatri, fisioterapisti, psicologi, psicomotricisti, logopedisti, etc.), oltre a finanziare l’acquisto di attrezzature specialistiche da usare nell’ambulatorio per il benessere del neonato.
È possibile sostenere le attività di Aistmar
cliccando qui.