Marsiglia, un crogiolo etnico dai mille volti, lingue e colori. Città, pure, dai mille problemi, dovuti, tra l’altro, al massiccio fenomeno di immigrazione. Ma anche ricca di tante risorse, soprattutto umane. Il benvenuto ci viene dato dal famoso vecchio porto, dove si snoda la fiera dei santons de Provence. Sembra un alveare in piena attività. Visitatori, curiosi e turisti vi ronzano attorno di giorno e di sera, per tutto il periodo natalizio. Più di una dozzina di ditte di artigiani, antiche e prestigiose come Carbonnel o Escoffier espongono il loro tradizionale savoir faire in centinaia di santons, personaggi sacri e profani, in argilla rossa o dipinta a mano, a colori vivi, vestiti nelle più differenti fogge. È la quintessenza dell’arte e della fede di questa terra. «In ogni casa di Provenza vi è un angolo riservato per loro», vi assicura Paul, maestro santonnier.
La tradizione dei santons si sviluppa durante la Rivoluzione francese, dopo che, dal 1793, si decise di chiudere le chiese. La devozione si limita allora all’interno delle mura di casa, come prima avveniva nelle chiese. Con il pescatore, la lavandaia, il mugnaio, l’arlesienne e il santon ravi (l’estasiato), che prende posto sempre davanti alla grotta. Immancabile. Con le braccia lanciate all’aria dallo stupore, rappresenta il “semplice” del villaggio e tutta la sua meraviglia di fronte alla divina nascita.
I santons – in carne e ossa – li troviamo alla parrocchia “Belle de Mai”, nel terzo arrondissement. Questo era il “quartiere degli italiani” già da fine Ottocento, per le vicine fabbriche di tabacco, di fiammiferi e di sapone, e il loro gran bisogno di manodopera. Poi, con la loro chiusura e la massiccia presenza araba il quartiere in questi ultimi decenni si è impoverito talmente da essere considerato il «quartiere più povero d’Europa». In chiesa incontrate capoverdiani, vietnamiti, spagnoli, africani, qualche vecchio italiano, qualche francese: un’assemblea multicolore dalle tante fisionomie. Sono loro i santons de Provence di oggi, strani re magi venuti da lontano, emigrando, che non hanno da offrire nulla se non la loro vita e una gran sete di dignità e di laboriosità. La comunità capoverdiana di tutta Marsiglia ha portato, per la festa, la bella statua di santa Catarina, loro grande patrona. Alla fine, tutti sono invitati al pranzo popolare preparato per giorni dalle donne capoverdiane. Una massa di gente di ogni razza e colore, dopo la Messa, si mette festosa a tavola, ritrovando un bel senso di comunione.
I santons più belli e vivaci, però, li incontriamo nella vicina rue Crimée, all’associazione “Enfants d’aujourd’hui, monde de demain”. Sono più di centocinquanta ragazzi musulmani del quartiere: irrequieti, affettuosi e sempre distratti. Masticano arabo e francese e vengono qui tutti i pomeriggi per il sostegno scolastico. È il loro avvenire, infatti, che le suore scalabriniane e padre Elia, con una sessantina di volontari, coltivano con tutte le loro energie. Trovano qui uno spazio di libertà, di serietà e di promozione. E senti dire, infatti, da una mamma algerina alla suora: «Sai, io ringrazio ogni giorno Allah perché ci siete voi. Io non sono mai stata a scuola, non saprei farlo, ma voi preparate il futuro di mio figlio!».
Dei “santi di Provenza” più veri e più spirituali – salendo a Notre Dame de la Garde, sopra la città – non ne è rimasto che un monumento, tuttavia carico di emozione. È un volto di Cristo, mentre cade sotto la croce, preso tra le mani teneramente da Maria. È in memoria delle migliaia di missionari, partiti per ben quattro secoli da questo stesso porto di Marsiglia per l’India, l’Africa, le Americhe o l’Oriente. È un omaggio al loro coraggio senza confini. Al loro sacrificio senza misura. Un’avventura verso l’ignoto, a volte verso il martirio, trasportati solo dalla gioia del Vangelo. Ogni congregazione ha qui a Marsiglia, infatti, una casa, per accompagnare questi addii commoventi.
Anche qui non mancano i problemi comuni alle grandi città europee come droga, malavita, miseria, discriminazioni. Ciononostante, due tratti caratteristici degli abitanti vi colpiranno subito: un ritmo di vita sereno, mediterraneo, e i rapporti umani impastati di grande cordialità. Sì, la vita qui si gusta in tutti i suoi sapori, come la bouillabaisse, la celebre zuppa locale di ben sette pesci diversi. Sembra di gustarvi l’anima di un popolo.
RENATO ZILIO
Grazie, caro padre Renato, per questo spaccato di vita. Marsiglia è lontana dall’Italia, ma non troppo. Le tue parole ci fanno gustare i sapori e gli umori di questa città portuale. Ancora una volta emerge la capacità del presepe, ben sottolineata da papa Francesco nella sua Lettera apostolica Admirabile signum, non solo di tenere viva la fede in tempo di persecuzione, ma anche di rappresentare la nostra umanità in tutte le sue sfaccettature. Mi auguro che in questo Natale tutti noi prendiamo esempio dall’“estasiato” che, di fronte alla grotta di Gesù Bambino, alza le mani al cielo per esprimere tutta la sua meraviglia. Abbiamo bisogno di tornare semplici, di meravigliarci ancora per questa umanità così variegata, sempre in attesa di missionari che portino la gioia del Vangelo, così desiderosa di creare relazioni buone, amichevoli, cordiali. Abbiamo bisogno di stupirci ancora di fronte al Figlio di Dio che ha voluto prendere su di sé questa stessa umanità per dirci quanto ci ama e quanto vorrebbe che il suo amore si diffondesse, anche per mezzo nostro, in tutto il mondo.