Pubblichiamo la riflessione di frate Ibrahim Faltas, vicario generale della Custodia di Terra Santa e già parroco di Betlemme, sul Natale nella città dov’è nato Gesù segnato dalla guerra nella Striscia di Gaza. Ogni cerimonia pubblica è stata annullata in solidarietà con i cristiani palestinesi mentre la Basilica della Natività è vuota di turisti e pellegrini. Nella piazza della Mangiatoia è stato allestito un Presepe (nella foto in alto) con i personaggi della Natività circondati da filo spinato e tra le macerie.
Per Natale in tutte le città del mondo si decorano le strade, ci sono alberi e presepi ricchi di lucine colorate che fanno da richiamo anche a chi non intravede il Natale, nel senso del grande evento che la terra aspettava: un Bambino, il Bambino Gesù, che nasce a Betlemme in una grotta, il Bambino è il segno di Dio che si è fatto come noi. Non è al di sopra di noi o di fronte a noi, è Dio che cammina con noi nella vita, divenuta la sua vita; è con noi nella sua grazia; con noi nella nostra debolezza, con noi nella sua bontà; con noi nella nostra miseria, con noi nella sua misericordia; con noi per amore, con noi per tenerezza, con noi per la nostra salvezza.
Queste parole sono diventate preghiera in questo tempo, per molti fedeli cristiani che vivono in Terra Santa. In questa situazione di guerra tra Hamas e Israele, per ogni cristiano la preghiera è la porta della salvezza e della pace. Noi in Terra Santa abbiamo vissuto questo periodo di Avvento, con tristezza, perché portiamo nel cuore la sconfitta di questa guerra, tra Hamas e Israele, come un profondo lutto per la perdita di umanità. Il Natale è la festa della nascita di Gesù Bambino, è la festa dei bambini che aspettano con gioia questo periodo di festa natalizio, in fondo anche noi adulti diventiamo un po' bambini, per la gioia di donare o ricevere un dono.
Ma come possiamo festeggiare pensando a settemila bambini e adolescenti morti, sotto i bombardamenti, o pensare ai tanti bambini rimasti soli che hanno perso la loro famiglia, o le madri che cercano tra le macerie i propri figli, o le madri che hanno in ostaggio i loro piccoli, o le famiglie massacrate con i loro bambini il 7 ottobre durante l’attacco di Hamas, che ha scatenato questa guerra? La preghiera è la nostra risposta, un avvento che non dimenticheremo facilmente, caratterizzato solo da un’intensa preghiera per cercare di sostenere ogni cristiano con la nostra vicinanza e la nostra presenza francescana e di tutta la Chiesa di Gerusalemme.
Sono trascorsi più di due mes dal 7 ottobre, ma a Gerusalemme si respira un’aria particolarmente silenziosa, molti negozi dei cristiani sono chiusi, poca gente tra le strade, ma non ci sono alberi di Natale, luci colorate, che negli ultimi anni eravamo abituati a vedere dalla Porta Nuova sino alla porta di Damasco, perché anche per molti musulmani diventava motivo di festa. In Terra Santa viviamo questo tempo di Natale con sobrietà in segno di rispetto per tutti coloro che soffrono la violenza a causa della guerra, per Gaza, Israele e per tutta la Cisgiordania dove la situazione è terribile.
Oggi, a Gerusalemme, sembra di vivere in un’altra città, vivo in Terra Santa da trentacinque anni, ho vissuto la prima e la seconda Intifada, l’Assedio alla Basilica della Natività nel 2002, ma mai ho visto così tanta diffidenza e odio tra la gente, che ha paura a uscire di casa, con il terrore che possa accadere qualcosa e di non far ritorno nella propria famiglia.
Qualche giorno fa, dopo un mese e mezzo dall’inizio della guerra, sono ritornato a Betlemme, insieme al Nunzio apostolico monsignor Tito Yllana, per una visita di sostegno e per poter pregare alla grotta della Natività. La Basilica era deserta così come la grotta dove è nato Gesù, abbiamo pregato a lungo, affinché cessi subito questa guerra, e che la gente possa ritornare a vivere, anche se occupati e chiusi dal muro di separazione.
Quando sono entrato a Betlemme, quanta sofferenza ho provato a vedere la città ridotta così, senza gente per le strade, tutti i negozi chiusi, come una città fantasma, un aspetto spettrale, la vivacità e la gioia della città sono finite sotto le macerie di questa guerra e non si vede un filo di speranza per potersi rialzare.
Negli anni precedenti, il tempo dell'attesa dell'Avvento, nella città dove è nato Gesù, si preparavano tanti eventi, perché la festa di Natale è la grande festa per la città di Betlemme. Era un tempo di gioia e serenità, i cristiani locali aprivano il loro cuore ad accogliere il Principe della Pace, e per i betlemiti rappresentava un tempo forte, perché vivono nel luogo dove è nato Gesù. La città si riempiva di pellegrini e le tante famiglie cristiane che lavoravano nell’ambito turistico, potevano vivere dignitosamente, ma con questa guerra non ci sono pellegrini e non sapremo quando si potrà ricominciare. Nell’arco breve di quattro anni la comunità di Betlemme è stata provata prima dal Covid e ora dalla guerra tra Israele e Hamas.
Dal 7 ottobre, Betlemme è diventata terribilmente triste, chiusa dentro il muro di separazione, la gente è senza lavoro, e stanchi di tutte le vicende che l’hanno particolarmente colpita in questi anni, si sentono traditi e sconfitti, hanno perso il sorriso, la speranza, e sembra quasi non reagire a tanta sofferenza, i cristiani che aspettavano la gioia del Natale, ora vogliono lasciare la loro amata città, e non si sentono più sicuri, anche se sono chiusi dal muro come una prigione a cielo aperto. Mi commuovo quando sento dire loro che alla fine proveranno a rimanere, perché Betlemme è la città dove è nato Gesù, il figlio di Dio.
La loro fede li spinge a custodire e a rimanere nella loro terra, come testimoni di pace e di amore. Ma purtroppo qualche famiglia che aveva il doppio passaporto, ha lasciato tutto ed emigrata in Europa.
Oggi si fa fatica a pensare e a sentire quell’aria natalizia, non ci saranno festeggiamenti, ma solo le celebrazioni liturgiche. La gente di Betlemme è chiusa in casa, ha paura ad uscire, ma soprattutto non c’è lavoro. Questo è l’altro volto della guerra che ha messo in ginocchio la città di Betlemme, con tanta sofferenza per la popolazione che sta affrontando una grave crisi.
La piazza della Mangiatoia accanto alla Basilica della Natività di Betlemme completamente vuota (foto Reuters)
Il 2 dicembre, è stata la vigilia della prima Domenica di Avvento, e noi frati francescani, come previsto dallo Status Quo, abbiamo mantenuto fede alle nostre tradizioni, preparando l’ingresso del Custode Francesco Patton, a Betlemme, dopo aver richiesto tutti i permessi alle autorità israeliane e palestinesi. La cerimonia si è svolta con molta sobrietà.
Il Custode è partito da Gerusalemme sostando, lungo la strada verso Betlemme, davanti al monastero greco-ortodosso di Mar Elias, dove si ci siamo fermati con i parrocchiani di San Salvatore di Gerusalemme e i frati. abbiamo attraversato al muro di separazione che divide, Gerusalemme da Betlemme, passando dal checkpoint della tomba di Rachele, che è stato aperto per questa occasione. Dal check point abbiamo proseguito verso il centro di Betlemme. Quest’anno, lungo tutto il percorso non c’era la folla di gente che arrivava come gli scorsi anni.
Abbiamo camminato per le strade, senza quella gioia di festa che ha sempre contraddistinto questa giornata. Non ci sono state le parate degli scout, che con il suono delle cornamuse, anticipavano l’arrivo del Custode. Era u, la città del Natale, dove ogni anno si arricchiva della presenza di un bellissimo albero, e la partecipazione di molti cori che arrivano da tutte le parti del mondo, per condividere la gioia del Natale.
Il nostro ingresso, della nostra prima vigilia di avvento, in questo tempo di guerra, accompagnati da un solo gruppo scout di Betlemme, tutti noi lo abbiamo vissuto nel silenzio e nella preghiera. Per noi francescani non è stato solo l’ingresso del Custode, ma l’abbiamo voluto offrire un messaggio, in questa prima domenica di avvento, dove solo la sera prima, a Beit Sahour, il Campo dei Pastori, si vedeva e si sentiva il passaggio dei razzi.
Nonostante questa situazione abbiamo voluto attraversare il muro, per dare, alla gente di Betlemme, un segno di rinnovata speranza, affinché la situazione di oggi, non crei muri e barriere, nella mente e nel cuore di ogni uomo, di ogni donna e soprattutto nei bambini.
E sono stati proprio i bambini, in questa giornata di vigilia della prima di avvento che attraverso il canto, hanno acceso quell’area di Natale, con un momento di riflessione sulla pace e sul Natale che si avvicina. Note di Pace, per creare un ponte tra Rovereto e Betlemme, dove i bambini del coro della Terra Sancta School di Betlemme e il Mini coro di Rovereto, hanno cantato in italiano e in arabo per invocare percorsi di pace, dopo tanta sofferenza per il popolo israeliano e per il popolo palestinese, ricordando tutti i bambini che non ci sono più.
Saranno i bambini che con la loro semplice gioia salveranno la festa di Natale. Anche se i bambini sono i più traumatizzati, da questa guerra, la voglia di vivere, di giocare, di abbracciare il Bambino Gesù, è più forte di ogni cosa. Ci stiamo avvicinando il Natale, e ancora non si vede nessuno spiraglio di pace, ma dobbiamo rialzarci, e continuare la via del dialogo, l’unica che può portarci verso un cammino di pace.
Siamo figli di questo tempo, ma soprattutto siamo figli di Dio, e per amore della vita che ci è stata donata, insieme uniti dalla preghiera, possiamo fare molto, rimanendo a fianco dei fragili, dei più deboli, seminando azioni e segni di pace, non possiamo permetterci di rimanere sotto le macerie di questa guerra, che sta seminando odio e vendetta tra la gente, che attecchisce come un cancro.
San Francesco ci ha insegnato, che oggi è il tempo di realizzare, ciò che agli occhi del mondo possa apparire impossibile, ma noi possiamo renderlo possibile, perché nei nostri cuori ogni giorno è Natale. In questo Natale lasciamoci condurre dalla luce della stella, anche noi avvolti da questo luminoso mistero, che squarcia il buio in cui siamo avvolti e feriti, dalla disumanità di questa guerra. Ci mettiamo tutti in cammino verso Betlemme, per adorare il Bambino, il figlio di Dio, il Salvatore, nato a Betlemme, il luogo dove per noi cristiani tutto è cominciato.
«Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio ... ed è chiamato “Consigliere ammirabile, Dio potente, ... Principe della pace` (Is 9, 5). Le parole del profeta Isaia annunciano la venuta del Salvatore nel mondo. Quella grande promessa si è compiuta qui, a Betlemme, e il mio appello si rivolge ai potenti del mondo, di fermarsi, di far cessare questa brutale guerra.
Di guardare negli occhi un bambino, non importa di quale religione, a quale popolo appartenga, ma negli occhi di ogni bambino, dove si riflette, il desiderio della gioia di vivere e di guardare verso un futuro di pace.
E nessuno ha il diritto di spegnere questo amore per la vita. Il più grande dono che possiamo ricevere in questo Natale, che si depongano le armi, e si dia inizio a nuova era tra il popolo israeliano e palestinese per il bene dell’umanità.