Una delle immagini utilizzate durante la trasmissione "Nautilus" del 22 e 25 dicembre. In alto: padre Funes con i conduttori della trasmissione.
Oggi e il 25 dicembre il programma "Nautilus" sarà dedicato a un tema natalizio per eccellenza, la stella cometa. Ospite d'eccezione della puntata sarà padre José Gabriel Funes, il gesuita astronomo direttore della Specola vaticana, l'Osservatorio della Santa sede.
L'appuntamento è il 22 e il 25 dicembre alle 21.00 su Rai Scuola, canale 146 del Digitale terrestre.
Ecco l'intervista di Federico Taddia a padre Funes.
Che cos’è la Specola Vaticana?
«È l’osservatorio del Papa, è un osservatorio astronomico come tanti altri nel mondo. Nato nel 1891 per volontà di Papa Leone XIII, a causa dell’inquinamento luminoso, l’osservatorio si è spostato dal Vaticano a Castel Gandolfo e poi da lì in Arizona».
Questo Papa era particolarmente appassionato di astronomia o c’è una stretta connessione tra teologia e astronomia?
«C’è da sempre questa connessione tra scienza, cielo e le diverse religioni, anche certamente il cristianesimo. Papa Leone XIII era molto attento alle questioni sociali e anche alle questioni scientifiche, per questo motivo ha voluto fondare la Specola Vaticana per far capire che la Chiesa è a favore della scienza».
Lei Padre ha ben tre lauree, in astronomia, teologia e filosofia; ha fatto il dottorato in astronomia all’Università di Padova , su quale argomento?
«Con la mia tesi di dottorato ho aiutato a pesare le galassie, a misurare la quantità di materia che c’è nelle regioni centrali delle galassie. Provo a segnalare quelle galassie che in qualche modo sono candidate ad avere un buco nero super massiccio al centro».
Ha visto "Interstellar"?
«Sì, l’ho visto e mi è piaciuto molto, credo sia un bel film, ha molti a argomenti su cui poter riflettere, dal futuro della terra al futuro dell’agricoltura, la ricerca di altri pianeti , tutta la relatività, i buchi neri… tutti temi molto interessanti».
Nel suo presepe la mette la stella cometa?
«Certo, mettiamo anche i Re Magi con dei piccoli telescopi, sono i nostri santi Patroni».
A proposito del suo duplice ruolo di scienziato e religioso, esiste un punto di contatto tra sacre scritture e ricerca scientifica?
«Rispondo come scienziato e come religioso. Come scienziato quello che mi muove è la curiosità di capire come si è formato l’universo, le stelle i pianeti… in questo condivido la stessa passione dei miei colleghi scienziati. Com’è nata la vita sulla terra è ancora un’ipotesi, noi non sappiamo come sia successo, ma sono fiducioso che in futuro, la scienza, saprà dircelo. E questo non è in contrasto con la fede, la Chiesa si rallegra quando gli scienziati fanno delle scoperte, perché la Chiesa è come una madre e qualsiasi genitore è orgoglioso dei progressi dei suoi figli».
Rosetta quindi non è in contrasto con il libro della Genesi, sono due cose che possono convivere?
«Certamente non è in contrasto, ricordiamoci che il libro della Bibbia non è un libro scientifico, se noi cerchiamo risposte scientifiche a domande scientifiche non possiamo cercarle lì. La Bibbia è il libro ispirato da Dio, è una lettera d’amore che Dio ha scritto al suo popolo. Il linguaggio è quello di duemila anni fa e l’autore sacro non sapeva niente della relatività generale o della fisica quantica o della gravitazione di Newton.
“Le scritture ci dicono come si va in cielo ma non come va il cielo”, diceva Galileo Galilei».
Oggi a che punto siamo tra la Chiesa e Galileo?
«Siamo ad un buon punto, San Giovanni Paolo II ha riabilitato Galileo. Credo che non si possa negare che ci sia stato un conflitto e che Galileo Galilei abbia sofferto. Probabilmente ha sofferto molto, ma bisogna dire che Galileo era un buon cattolico, ha obbedito alle autorità del tempo. Galileo era un buon cattolico e anche un buon scienziato, i conflitti ci saranno sempre e ci sono stati, non si può negare. Il punto è che questi conflitti, sulle diverse visioni del mondo, non dico andranno a diminuire, ma almeno se ne potrà discutere attraverso un dialogo sincero; questa è la missione di tutti noi, promuovere il dialogo e non un dibattito sterile, fine a se stesso».