Tutto è andato come doveva andare. Aleksej Navalny è tornato in Russia, e così facendo ha avuto l’ennesimo momento di gloria. Vladimir Putin, attraverso il sistema giudiziario russo che accusa il dissidente di aver violato le regole della libertà condizionata (buffo, perché lo stesso Putin ha detto alle telecamere di aver personalmente autorizzato la sua partenza verso la Germania dopo l’avvelenamento ) e di frode aggravata (prima udienza il 29 gennaio, pena massima dieci anni di carcere), l’ha fatto arrestare.
E le cose sono andate così non per decisione dei protagonisti ma per pura e semplice necessità. Navalny, in Germania, protetto dai servizi segreti tedeschi, non ci poteva più stare. Lontano da Mosca, impedito a organizzare quelle provocazioni politico-mediatiche in cui eccelle, sarebbe diventato ininfluente, proprio mentre il Covid e la crisi economica aprono spazi di insoddisfazione tra i russi e nell’anno in cui, in settembre, in Russia si terranno le elezioni politiche. Inevitabile tornare, trasformando la cosa in un enorme flash mob, con l’aereo da Berlino pieno di giornalisti e telecamere, una folla ad attendere in aeroporto e un arresto che più mediatico non si poteva (i siti e le Tv russi hanno diffuso, ieri, centinaia di video), con tanto di bacio alla moglie. In un Paese retto da una dittatura dove però persino suo fratello Oleg, fermato dalla polizia, poteva mandare video col cellulare dall’interno della cella. E sapendo che comunque gli toccheranno pochi giorni di carcere, com’è sempre stato.
Per le autorità russe, come sempre per Navalny, un bel problema. Se non lo arresti, lui monta comunque lo show e ti fa fare la figura del fesso. Se lo arresti è repressione. Putin ha sempre scelto la seconda strada, un po’ per dimostrare quanto poco gli importi dei giudizi che arrivano dall’estero, un po’ per tenere il punto: se violi la legge finisci dentro. Gli Usa, l’Europa e persino l’Italia hanno chiesto l’immediato rilascio di Navalny. Comprensibile agli occhi della politica, un po’ meno a quelli della logica. La Russia, per fare solo un esempio, non chiede la liberazione dei manifestanti che diedero l’assalto al Campidoglio di Washington. Perché dovrebbe liberare uno che è accusato di truffa?
Da quando il dissidente fu avvelenato poco prima di prendere il volo da Tomsk a Mosca, il 20 agosto scorso, però, il “caso Navalny” non riguarda più solo Navalny. È diventato una cosa diversa e, se nessuno si offende, più importante. Ripensiamo per un attimo agli eventi. Si può credere alle conclusioni raggiunte in Germania, e cioè che Navalny sia stato avvelenato con il Noviciok, l’arma chimica vietatissima da tutti i trattati internazionali. I tedeschi, assai determinati nel portare a termine il progetto di gasdotto Nord Stream 2 insieme con la Russia, non avrebbero ragioni per organizzare un complotto ai danni di Mosca. Nello stesso tempo, e lasciando da parte il fatto che il micidiale Noviciok non ammazza nessuno (anche Skripal e figlia, colpiti dal nervino a Salisbury nel 2018, stanno bene e sono andati a vivere in Nuova Zelanda), l’attentato è stato condotto in modo grottesco. Agenti segreti che usavano i cellulari personali per comunicare, che tenevano una chat su WhatsApp (sistema americano, codici americani, dati gestiti negli Usa…), che mettevano il Noviciok negli indumenti intimi, che si sono fatti beccare al telefono e a casa… Una farsa, anche se è chiaro che a Navalny, e ai siti di giornalismo “investigativo” che hanno raccontato tutto, un qualche aiutino da servizi segreti occidentali dev’essere arrivato.
Come se non bastasse, poco dopo è saltata fuori una storia analoga. E cioè che il corpo speciale che organizza e protegge i trasferimenti dei quaranta politici più importanti di Russia (Putin compreso) faceva la stessa cosa, diffondendo notizie che dovevano restare segrete addirittura su una chat (https://letteradamosca.eu/2021/01/03/cosi-i-movimenti-di-putin-finivano-in-chat/) frequentata da duecento persone.
Quindi, delle due l’una. O i servizi segreti russi sono rimbecilliti (quegli stessi servizi che, raccontano i nostri media, con quattro hacker scelgono il Presidente degli Usa, provocano la Brexit, agitano la Catalogna, fanno crescere ovunque i partiti populisti e in generale mettono a rischio la civiltà occidentale) oppure nel pancione della nomenklatura post-sovietica c’è qualcosa che si agita, e non poco.
Per questo si diceva che la questione, ora, va molto oltre Navalny. Lui è spettacolare, furbo (da noi non se ne parla, ma il blogger dissidente vuole la Crimea in Russia e chiama “censura” l’espulsione di Trump dai social) e ha un grande tempismo. Ma a dispetto di tante illusioni, non sarà lui a far saltare il sistema di potere putiniano né saranno le sue idee, poche e confuse, a proiettare la Russia in una nuova e magnifica era. Le sfide per Putin vengono da dentro il sistema, non da fuori. Da coloro (militari? Settori dei servizi segreti? Oligarchi e industriali?) che forse non hanno gradito la riforma costituzionale che proietta verso l’eternità la presenza di Putin al Cremlino. Che forse osservano con preoccupazione la stagnazione della politica russa e quindi anche dell’economia, che fatica tantissimo ad affrancarsi dalla dipendenza dal gas e dal petrolio. Che forse notano la fatica crescente della Russia nel presidiare (dalla Georgia all’Armenia, dall’Ucraina alla Bielorussia) il cosiddetto “estero vicino”, ovvero quello spazio di rispetto che Mosca considera vitale per i suoi interessi. Che forse ritengono che, senza una composizione dei rapporti con l’Occidente, la Russia resterà sempre relegata in una specie di paralisi che le impedisce di esprimere tutte le sue potenzialità politiche, tecnologiche e commerciali.
In sintesi: è possibile che ci sia gente, in Russia, che dissente davvero ma non lo dice, e si accontenta di farlo capire a chi di dovere in attesa del momento buono per una resa dei conti. Che potrebbe arrivare nel 2024, quando scadrà l’ennesimo mandato presidenziale di Vladimir Putin. In Russia, oggi, il vero problema non è che fare di Navalny ma che fare del Paese. Lo sa anche Putin che non a caso, proprio mentre bloccava il sistema intorno a sé con la suddetta riforma costituzionale, ha anche rivoluzionato il Governo, inserendo tecnocrati ed economisti che avevano il preciso compito di rottamare le politiche di austerità e autarchia per aprire una fase nuova. Poi, purtroppo, è arrivato il Covid. Ma il Covid non durerà in eterno. La Russia probabilmente sì.