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martedì 26 settembre 2023
 
Il compleanno
 

Auguri alla Nazionale italiana di calcio, 110 anni e non sentirli

15/05/2020  Il 15 maggio del 1910 la prima partita ufficiale. L'azzurro è venuto dopo e continua a farci soffrire e gioire nonostante tutto.

Centodieci di questi giorni, anche se la Nazionale di calcio s’immaginava un compleanno diverso, operoso, in piena rifinitura di preparazione verso l’Europeo e invece niente ritiri e candeline a distanza. Il Covid che tutto ha congelato ha fermato i rimbalzi del pallone e con un rinvio lungo un anno ha spostato tutto al 2021, in un futuro incerto e imprecisato. In attesa di tornare a giocare, gioire, soffrire, tifare, insomma a vivere davvero pienamente tutto insieme, calcio compreso, possiamo solo abbandonarci all’amarcord e ricordare dall’inizio questa lunga storia diventata azzurra solo una manciata di mesi dopo. L’amichevole Italia -Francia (sempre Italia-Francia, un incrocio, un destino fin dai tempi di Giulio Cesare) del 15 maggio 1910 all’Arena Civica di Milano si giocò in bianco, calzoncini a scelta bianchi o neri, non c’erano sponsor allora a dettare le regole di ogni centimetro di stoffa.

L’azzurro sarebbe venuto dopo, il giorno dell’Epifania del 1916, contro l’Ungheria. Il colore è un omaggio a Casa Savoia, all’epoca sul trono del Regno d’Italia: l’azzurro della maglia riprende la tonalità della “fascia”, nome che in araldica, la scienza che studia gli stemmi, indica il drappo su cui è stampato lo stemma del casato nobiliare. In azzurro gli azzurri hanno attraversato il mondo (vincendone quattro volte la Coppa, nel 1934, 1938, 1982, 2006) e la storia: il colore è sopravvissuto alla Repubblica, salvo le maglie da trasferta, prima di cedere allo sponsor e farsi verde il 12 ottobre del 2019. Si è provato a spiegare quella singola uscita cromaticamente esotica con un omaggio a una maglia giovanile del 1954 e al colore del Rinascimento, ma l’arrampicata sugli specchi non ha convinto nessuno e infatti è durata una sola partita, però importante perché ha segnato la qualificazione al prossimo europeo.

L'azzurro è l’azzurro e resiste nel cuore, anche a dispetto della politica che di tanto in tanto cerca di usurparlo a fini di consenso. È il colore nel quale abbiamo sudato (anche freddo), riso e pianto, mica per niente è il colore della copertina di Linus, nella quale tutti noi, sportivi da poltrona, che non infileremmo la porta neppure se fosse un rettangolo di cento metri per duecento, abbiamo sfogato e superato le nostre frustrazioni. E infatti ne parliamo alla prima persona plurale. Ognuno di noi, secondo l’età, ha aneddoti, eventi, ricordi cui è affezionato. Ma i Mondiali del 1982 e del 2006 sono di tutti, il personale trionfo di ciascuno di noi, anche se stavamo tutti solo in poltrona a guardare e a soffrire, ci siamo sentiti tutt’uno con le mani Dino di Zoff diventate un francobollo e con la bandiera italiana annodata sotto il mento di Francesco Totti, come il foulard di una vecchia zia. Certo Zoff non l’avrebbe fatto mai, ma è questione di caratteri e di tempi. E se il mondiale dell’82 è entrato nella storia con i sei gol di Paolo Rossi, quello del 2006 lo ha fatto con un gruppo in stato d’assedio e di grazia, quindici improbabili giorni in cui i Materazzi e i Grosso hanno dato oltre i propri limiti pur di arrivare a Berlino. E poi certo chissà che avrà detto mai Materazzi a Zizou e chissà se sia stata davvero quella frase a cambiare il corso delle stelle o se invece avremmo alzato la Coppa lo stesso, non lo sapremo mai.

E se è vero che sono passate alla storia le notti magiche casalinghe ma non vincenti di Italia 90 e che la partita del secolo è Italia-Germania 4-3 che era “solo” una semifinale, è vero che l’azzurro non splenderebbe altrettanto senza la tenebra: senza la delusione feroce di Germania 1974 diventata, grazie alla penna di Giovanni Arpino, il più bel romanzo sportivo della storia della letteratura (Azzurro tenebra appunto, titolo che evoca un verso pascoliano “Voci di tenebra azzurra”. E nessuno dica più che era solo pallone); senza le lacrime di Baggio e di Baresi nel mezzogiorno di fuoco di Pasadena; senza le Coree del Nord e del Sud che per un misterioso scherzo del destino, come la Francia, ci finiscono sempre tra i piedi, e contro le quali nulla ha potuto neppure l’acquasantiera portatile del Trap. Il resto è storia da scrivere e, Covid permettendo, sarà nel 2021, quando si spera che dopo le tenebre reali del presente e quelle calcistiche di Brasile e Russia tornino in cielo squarci d’azzurro, con o senza frittatona di cipolle.

 
 
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