Antonia Arslan. In alto: una scena del film "La masseria delle allodole" dei fratelli Taviani.
Chi nega o solo riduce l’olocausto armeno del 1915, nega la storia. Questo pacifico e unanime riconoscimento, però, si scontra ancora oggi con l’ottuso negazionismo dell’establishment turco e con l’ipocrisia di molti governi occidentali”. E’ il giudizio severo di Antonia Arslan, padovana d’origine armena, scrittrice, già docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’ateneo patavino. I suoi romanzi, primo tra i quali “La masseria delle allodole”, bestseller tradotto in 20 lingue e portato sul grande schermo dai fratelli Taviani, hanno raccontato la tragedia armena dell’olocausto negato. Il suo ultimo romanzo, “Il rumore delle perle di legno” (Rizzoli) prosegue quelle memorie, diventando autobiografico. Il libro esce proprio in occasione della ricorrenza dei cent’anni da quei tragici fatti. Il 24 aprile infatti si celebra la “Giornata della memoria” armena del cosiddetto “Medz Yeghern”, ovvero il “Grande Male”. E la scrittrice torna sul tema che tante polemiche in questi giorni ha sollevato, dopo l’intervento di Papa Francesco.
“Oggi, alla luce di quanto la ricerca storica ha prodotto in questi ultimi vent’anni, negare o solo ridurre il genocidio è impossibile. Negli ultimi anni la ricerca storica mondiale ha prodotto così tanti studi, peraltro anche col contributo di giovani storici turchi, che l’affermazione del genocidio è una conquista storica assodata. E’ stata consolidata la memoria orale, e poi le ricerche su archivi segreti e tematici. Molto era già uscito nel 1915: documenti sfuggiti alla polizia turca, fonti iconografiche come le foto inviate da un console americano che si trovava in una città al centro dell’Anatolia, che testimoniano lo stato estremo di denutrizione dei corpi”.
-Eppure il governo turco resta negazionista e solo una ventina di Stati al mondo, ad oggi, hanno riconosciuto l’olocausto.
“E’ così, purtroppo. Negli Usa sono 43 su 50 gli Stati che hanno riconosciuto il genocidio, in Europa la Francia e l’Italia, ma la Germania non ancora”.
Come mai?
“Ci sono lobby economiche che hanno sostenuto la candidatura turca per l’ingresso nella Ue sperando che ci si dimenticasse dei fatti del 1915. E lo hanno fatto senza riflettere sulle ultime pesanti limitazioni democratiche attuate in questo Paese, tra le quali quelle che colpiscono la libera stampa in quel Paese: il numero di giornalisti incarcerati in Turchia è altissimo e sappiamo bene che le prigioni turche non sono proprio dei luoghi di villeggiatura”.
-Ultimamente, a parte il presidente Erdogan, ci sono state timide ammissioni da parte dei governi di quel Paese.
“Però hanno sempre optato per l’ammissione parziale, ribadendo che le sofferenze patite dagli armeni non sarebbero state le sole in quell’epoca bellica, ma che anche molti turchi sarebbero stati uccisi in guerra. Ma si dimentica che c’è stata una precisa volontà del governo di sterminare una parte dei propri cittadini: ciò è avvenuto con gli armeni e i greci del Ponto. Nei loro confronti. E questa si chiama politica genocida ria”.
-Qual è la cifra precisa del genocidio per gli storici?
“Il conto è presto fatto: il numero degli armeni residenti nell’impero ottomano, secondo un censimento dell’epoca, era di circa due milioni. Il dato di un milione di vittime circolava già tra i contemporanei. Ciò che porta facilmente il numero a un milione e mezzo è dato dal grande numero di giovani donne armene, deportate, rapite e rinchiuse in famiglie turche. Ad esse è stata rubata l’identità. Sono state turchizzate. Sono i famosi “Resti della spada”.
-La Shoa poi avrebbe avuto le stesse modalità. Come fossero state le prove generali delle deportazioni di massa degli ebrei da parte dei nazisti…
“Proprio così. Il metodo è lo stesso. I soldati tedeschi erano lì. Hitler dirà ai suoi nel ’39: ‘Nessuno più si ricorda dello sterminio armeno. Possiamo fare quel che vogliamo’. I tedeschi, tra l’altro, nel 1915 erano alleati dei turchi”.
-Si disse che epurazioni e genocidi furono perpetrati in nome di una religione. Ma questa fu vera causa o pretesto?
“Quel che accadde nel 1915 ebbe motivi soprattutto etnici e politici. La religione, come spesso accade, fu solo un pretesto. E la dimostrazione è che il partito dei ‘Giovani turchi’ che salì al potere e decise l’olocausto, era ateo, ma sapeva bene come aizzate il popolo contro gli infedeli sfruttando i sentimenti religiosi”.
-Come sta accadendo oggi con l’Isis e, per gioco amaro del destino, nello stesso deserto siriano che conobbe le ‘Marce della morte’ cent’anni fa?
“E’ così. I prigionieri armeni da impiccare allora erano vestiti con un camice bianco. Oggi gli ostaggi in mano ai terroristi dell’Isis indossano camicioni arancioni. E’ cambiato solo il colore. Ma è la stessa sceneggiatura. Ieri si usavano le foto. Oggi i video, ma lo scopo è lo stesso: un rito macabro che vuole incutere il terrore in chi lo vede”.
-Nel nuovo romanzo, stavolta decisamente autobiografico, gli echi della triste epopea armena vengono trasfigurati dalla memoria di una bambina “invecchiata”, che è l’autrice. E’ il terzo capitolo della trilogia armena?
“Così pensavo, ma ora ho capito che non si fermerà qui. Dopo due romanzi in cui raccontavo le storie degli anni ’20, mi sono resa conto che volevo narrare la mia infanzia, gli ultimi anni della guerra”.
Ecco allora emergere, come d’incanto, dalla soffitta dei ricordi, il rifugio antiaereo e le bombe dell’aereo Pippo; l’attrazione morbosa per la letteratura e i libri; la casa di Padova e le amate residenze di villeggiatura a Jesolo e a Susin di Sospirolo; i nazisti che fermano mamma Vittoria, donna bellissima ed emancipata, che nasconde loro un maialino fingendosi incinta. E infine i nonni: Carlo, l’aviatore italiano, e Yerwant, l’armeno, e i suoi racconti sulla “Patria Perduta aldilà del mare”. La memoria, tradotta in romanzo, salva dalla perdita definitiva e getta le basi per qualsiasi futuro desiderabile. E’ la preziosa missione intellettuale a cui s’è votata Antonia Arlsan.