Bolivia, 10 luglio 2015. Il Papa incontra i detenuti del penitenziario di Palmasola a Santa Cruz de la Sierra. Spesso i figli dei carcerati vivono con il genitore detenuto, specialmente se si tratta della mamma. Questa foto e quella in alto sono dell'agenzia Reuters.
«Quello che sta davanti a voi è un uomo
perdonato. Un uomo che è stato ed è salvato dai suoi molti peccati».
Visitando il Centro di Rieducazione Santa Cruz-Palmasola, prima di
incontrarsi con i vescovi per il congedo dalla Bolivia, diretto in Paraguay, dove si trova adesso, Papa Francesco si è
presentato così ai carcerati. «Non ho molto da darvi o offrirvi, ma
quello che ho e quello che amo, sì, voglio darvelo, voglio condividerlo:
Gesù Cristo, la misericordia del Padre», ha proseguito, spiegando che
l’amore che Dio ha per noi è «un amore attivo, reale. Un amore che ha
preso sul serio la realtà dei suoi. Un amore che guarisce, perdona,
rialza, cura. Un amore che si avvicina e restituisce dignità. Una
dignità che possiamo perdere in molti modi e forme. Ma Gesù è un
ostinato in questo: ha dato la vita per questo, per restituirci
l’identità perduta».
«Pietro e Paolo, discepoli di Gesù, sono stati
anche prigionieri, sono stati anche privati della libertà», ha ricordato
Jorge Mario Bergoglio: «In quella circostanza, c’è stato qualcosa che li ha
sostenuti, qualcosa che non li ha lasciati cadere nella disperazione,
nell’oscurità che può scaturire dal non senso. E’ stata la preghiera.
Personale e comunitaria». La preghiera, ha spiegato il Papa, «ci
preserva dalla disperazione e ci stimola a continuare a camminare». E’ «una rete che sostiene la vita, la vostra e quella dei vostri
famigliari».
Bolivia, 10 luglio 2015. Il Papa incontra i detenuti del penitenziario di Palmasola a Santa Cruz de la Sierra. Spesso i figli dei carcerati vivono con il genitore detenuto, specialmente se si tratta della mamma. Questa foto e quella di copertina sono dell'agenzia Ansa.
«Quando Gesù entra
nella vita, uno non resta imprigionato nel suo passato, ma inizia a
guardare se stesso, la propria realtà con occhi diversi. Non resta
ancorato in quello che è successo, ma è in grado di piangere e lì
trovare la forza di ricominciare», ha assicurato il Papa, esortando i detenuti di Santa Cruz ad affidare al «volto» di Gesù
crocifisso «le nostre ferite, i nostri dolori, anche i nostri peccati.
Nelle sue piaghe, trovano posto le nostre piaghe». «Gesù vuole
risollevarci sempre», ha poi aggiunto il Papa: «Questa certezza ci spinge a
lavorare per la nostra dignità».
«La reclusione non è lo stesso di
esclusione - ha ammonito Francesco - perché la reclusione è parte di un
processo di reinserimento nella società». «Sono molti gli elementi che
giocano contro di voi in questo posto», ha ammesso il Papa: «il
sovraffollamento, la lentezza della giustizia, la mancanza di terapie
occupazionali e di politiche riabilitative, la violenza… E ciò rende
necessaria una rapida ed efficace alleanza fra le istituzioni per
trovare risposte. Non abbiate paura di aiutarvi fra di voi».
A tutto il personale del Centro, il Papa ha assegnato il
compito «di rialzare e non di abbassare; di dare dignità e non di
umiliare; di incoraggiare e non di affliggere, di abbandonare una logica
di buoni e cattivi per passare a una logica centrata sull’aiutare la
persona».
L’istituto penitenziario visitato dal Papa è il più grande della
regione: esteso 10 mila metri quadrati, pur avendo una capienza di 800
posti (600 uomini e 200 donne), ospita attualmente 5 mila persone. Spesso i figli dei detenuti vivono accanto al genitore incarcerato, specialmente se si tratta della mamma. Inoltre, come accade in molte altre prigioni (si pensi, ad esempio, a San Pedro, ribattezzato il penitenziario
più pazzo al mondo, nel cuore di La Paz), chi ha soldi o potere riesce a far entrare un po' di tutto: cellulari, alcol, droga, prostitute. Anche armi. Cosa che
genera differenti trattamenti e causa tensioni. Nel 2013, a Santa
Cruz-Palmasola, nello scontro fra bande rivali culminato in un incendio
persero la vita una trentina di persone, tra cui un bimbo di due anni, Leonardito, diventato il simbolo delle tante ingiustizie che si vivono lì e altrove, dietro le sbarre. Papa Francesco ha portato
una ventata di speranza e di riconciliazione.