Capita anche questo alla Mostra del cinema. Ieri sera, al termine della proiezione di "The net", l'ultimo film del sudcoreano Kim Ki-duk, tra il pubblico che non smetteva di applaudire un signore anziano si è alzato in piedi e continuava a chiedere di voler incontrare il regista. Quando le maschere gli hanno spiegato che non era venuto e che anche la protagonista femminile del film aveva già lasciato la sala, lui ha abbassato le braccia ed è rimasto a lungo in silenzio per la delusione. Lo abbiamo avvicinato: "Volevo incontrare il regista per stringergli la mano e ringraziarlo. Sono albanese e con il suo film mi ha fatto rivivere il terrore che provavamo sotto il comunismo. Andava davvero tutto così".
"The net" racconta la storia di un pescatore nordcoreano che un giorno, a causa di un guasto alla sua barca, finisce oltre il confine con il Sud. Quando approda, viene arrestato e portato a Seul per essere interrogato. Le autorità sono convinte che si tratti di una spia del regime comunista e per farglielo confessare gliene combinano di tutti i colori. Alla fine, quando si convincono della sua innocenza, lo rispediscono al Nord. Lui accetta, sapendo bene che anche quando tornerà tra i suoi compatrioti sarà molto dura dimostrare di essere solo un pescatore. Il film è una lucida parabola di due Paesi così diversi eppure così simili nel bene e nel male e del sogno che oggi appare impossibile di una loro riunificazione.
Ma evidentemente il messaggio che contiene è molto più universale se ha scosso così tanto lo spettatore che abbiamo incontrato: "Mi chiamo Luigi Naraci, ho 71 anni, e faccio il portiere a Venezia. Sono albanese e sono arrivato in Italia nel 1992". Con gli occhi lucidi, torna alla sua gioventù: "Se provavi a passare il confine con la Jugoslavia o con la Grecia venivi subito ammazzato. Ma dovevi stare attento ogni giorno con chi parlavi e che cosa dicevi: bastava lamentarsi perché mancava il pane e, se qualcuno lo riferiva alla polizia, finivi in prigione per 8 anni".
Le scene che lo hanno emozionato di più sono quelle degli interrogatori a cui il pescatore del film viene sottoposto, sia dai coreani del Sud che da quelli del Nord: "Anche da noi erano disposti a tutto pur di farti confessare anche cose che non avevi commesso".
Lui non ci ha mai provato a passare il confine ma un suo zio, dopo essersi fatto cinque anni di prigione, sì: "Nel 1949 riuscì a entrare in Jugoslavia e, dopo un altro anno di campo di concentramento, raggiunse sua nonna, che era italiana, a Roma".
Proprio in virtù di queste origini italiane nel 1992 Naraci con la sua famiglia ha ottenuto un permesso speciale per poter iniziare finalmente una nuova vita: "Ora siamo felici. Ma non dimentico mai tutto quello che abbiamo passato".