Il 22 febbraio, festa della Cattedra di san Pietro, si celebra il Giubileo della Curia romana. Una Curia romana che — nelle intenzioni di papa Francesco — deve essere capace di cambiare per rispondere sempre meglio alle priorità pastorali della Chiesa universale. Un organismo vivo, dunque, che si aggiorna interpretando i “segni dei tempi”, in cui anche la presenza delle donne diventa sempre più consueta e fruttuosa. Il caso di Flaminia Giovanelli è, in questo senso, emblematico.
Agile, minuta, mai un filo di trucco, unico vezzo un cappellino di sghimbescio in testa, Flaminia Giovanelli è sottosegretario del Pontificio consiglio della giustizia e della pace. Dal 1974 è impegnata in questo dicastero, oggi presieduto dal cardinale ghanese Peter Turkson, e nel quale nel 2010 Benedetto XVI la nominò a questo ruolo di enorme responsabilità, generalmente riservato a monsignori. Ma, come lei stessa confida, «tutto questo non è un lavoro, semplicemente una vocazione, una situazione appassionante che offre il polso delle sofferenze e delle gioie dell’umanità minuto per minuto, un dicastero che è una straordinaria finestra sul mondo».
Un suo significativo impegno di volontariato è nell’associazione non profit O’Viveiro (www.oviveiro.org), che offre a venti ragazzine molto povere, per lo più orfane, della provincia di Tete nel nord del Mozambico, la possibilità di proseguire gli studi per poi inserirsi nel mondo lavorativo: «È una goccia nel mare, ne siamo consapevoli. Ma noi speriamo nell’effetto “moltiplicatore” della nostra iniziativa, facilitato oggi dalle opportunità che, se usate per il bene, la globalizzazione ci offre».
Quando ricevette quella nomina da papa Ratzinger, ne fu sorpresa? E come venne accolta dagli altri funzionari?
«Direi di sì, sia dal punto di vista dell’economia generale della mia vita (mai avrei pensato che sarebbe stata segnata da un impegno lavorativo così coinvolgente), sia dal punto di vista delle dinamiche della curia. Comunque, alcune circostanze hanno senz’altro favorito una decisione in questo senso da parte del Pontefice emerito: il cambio di presidenza, la mancanza di un sottosegretario già da un lungo periodo e i miei circa trentacinque anni di servizio. Per l’accoglienza da parte dei colleghi non c’è stata difficoltà, poiché “giocavo in casa”. Inoltre ho avuto il vantaggio di essere nominata quando ero già piuttosto attempata e quindi c’è il rispetto dovuto all’età!».
Lei ha avuto anche occasione di incontri con san Giovanni Paolo II. C’è qualche aneddoto che le è rimasto impresso?
«Al termine di un’udienza nel 1980, con i membri e i consultori provenienti da tutto il mondo, ci mettemmo in posa per la foto di gruppo, e noi dell’ufficio di Roma, naturalmente, ci dovevamo mettere dietro. Andando a prendere il mio posto, forse ho brontolato un po’ troppo forte dicendo che, a motivo della mia scarsa altezza, non mi si sarebbe vista. Dopo il primo scatto fotografico, papa Wojtyla si indirizzò verso di me con voce stentorea: “Ma in questa foto i piccoli non si vedono. Venga avanti, è una questione di giustizia!”. E così ho tutta la sequenza delle fotografie, da quella dove si vede un ciuffetto di capelli fino a quella in cui mi trovo in prima fila fra il santo Papa e il cardinale Gantin, mio superiore a quel tempo».
Come focalizza le differenze tra il pontificato di Francesco e quello di Benedetto XVI?
«La differenza più evidente è l’impronta più decisamente pastorale del pontificato di papa Bergoglio. È ben visibile la sua esperienza diretta dei problemi della Chiesa a livello locale, soprattutto per la profonda conoscenza di ciò di cui hanno bisogno i fedeli e anche i cosiddetti “lontani”. Sì, nel mondo virtuale in cui siamo immersi, è una vicinanza spirituale, ma anche fisica, ciò di cui le persone hanno bisogno».
Visto che nella Sacra Scrittura la figura femminile ha un’importanza centrale, come mai ce ne sono così poche ai vertici vaticani?
«Alla domanda aggiungerei una parola: perché ce ne sono “ancora” così poche? E la mia risposta è semplice: è vero, “per ora” ce ne sono poche, ma non dubito che ce ne saranno di più in futuro, anche prossimo. In ogni caso il contributo delle donne, discreto ma efficace, al servizio nella Curia romana, non soltanto c’è, ma è in costante crescita, Segreteria di Stato compresa».
Si può quantificare questa presenza?
«Mi sembra che oggi le donne rappresentino circa il 30 per cento del personale della curia. Inoltre l’attuale presidente della Pontificia accademia delle Scienze sociali, così come la precedente, è una donna e alle donne cominciano a essere affidati anche incarichi di responsabilità “intermedia”, come quelli di rappresentanza della Santa Sede nelle attività degli organismi internazionali o a conferenze internazionali. E questo mi sembra sia un preludio all’assunzione di maggiori responsabilità anche nel disbrigo del lavoro di routine».