Ripicche e vendette, astio e diffidenza, sospetti e timori, faide e polemiche feroci, rancori e addii, epurazioni e divorzi. Nell’ultima assemblea nazionale del Pd, quella che ha chiuso la stagione di Matteo Renzi (anche se l’ex premier intende tornare in gioco) e il distacco della minoranza di D’Alema e Bersani, si è visto tutto tranne che la politica. Un campo di Agramante in cui hanno prevalso le ragioni individuali sul bene comune di quella che dovrebbe pur sempre essere una comunità al servizio degli italiani, anche se in forma partito. Difficilmente il cittadino comune riuscirebbe a capire i motivi politici di tanto astio: in superficie si è parlato di date di congresso e nient’altro. La verità neppure tanto celata è stata una feroce gioco al massacro per la ripartizione del potere. Le scelte dei dirigenti dell'area scissionista si limitavano a decidere se andarsene o rimanere nel partito per occupare i posti che spettano alla minoranza. Quelle dei renziani di quanto abbassare il muro delle concessioni.
"Fuori di qui ci prendono per matti", ha ammesso lo stesso segretario uscente Renzi. Come dargli torto? Non si è parlato di problemi, di lavoro, di crisi economica, di Welfare, di riforme sociali, di sicurezza, di gestione dei flussi immigratori, di fisco, di problemi legati alle periferie, di politica estera, del ruolo dell'Italia del mondo, di istruzione, né di valori. Cosa raccontare agli elettori? O ai militanti che spendono le serate a fare salamelle per il partito, in primavere ed estate, o a fare il "porta a porta" per guadagmnare ilc onsenso dei cittadini? Al massimo di stati d'animo. "Ormai c'è troppo rancore, troppo", ha ammesso Pierluigi Bersani. Forse l'immagine dell'assemblea rimarrà lo sguardo opaco e rancoroso di Renzi e Orfini nei confronti del governatore Emiliano, uno che nello spazio di 48 ore è riuscito a dire tutto e il contrariod i tutto. Si dirà che nel Pd almeno si discute mentre negli altri partiti non si svolgono nemmeno i congressi. Verissimo, ma se questa è l’alternativa...