«Bisogna cercare le
parole per raccontare la crisi, che è anche una crisi di valori. La
letteratura e la saggistica, in modi diversi, sono uno strumento per
farlo». Con queste parole l’assessore alla Cultura della Regione
Lazio, Lidia Ravera, ha inaugurato la quinta edizione del Salone
dell’editoria sociale, organizzato a Roma dalle Edizioni
dell’Asino, dalla rivista Lo Straniero, dalle associazioni Gli
Asini e Lunaria, dall’agenzia giornalistica Redattore sociale e
dalla Comunità di Capodarco (Famiglia Cristiana è media partner).
La cultura ha senso in
un momento di austerity? Quale? Queste le domande che hanno fatto da
filo conduttore. Secondo Lidia Ravera, anche in un contesto di crisi,
«la cultura continua a svolgere un ruolo fondamentale, come
dimostrato dal presidente americano Roosevelt, che dopo la crisi del
1929 ha investito ancora di più nel settore». Giuliano Battiston, a
nome degli organizzatori, spiega che lo scopo principale del Salone è
stato proprio quello di «mettere in relazione quanti operano
nell’editoria sociale e quanti invece operano nel terzo settore,
nel volontariato, nelle organizzazioni non governative», affinché
la cultura recuperi la «sua funzione critica, di orientamento della
società».
Un trentennio di politiche neoliberiste hanno cambiato la politica, la società, i consumi
Per farlo, i promotori
del Salone hanno proposto quatto giorni di incontri, da giovedì fino
a domenica 3 novembre, con più di 40 incontri tra tavole rotonde,
dibattiti, presentazioni di libri, musica e video, 22 stand, 40
editori e Ong. La location è
stata Porta Futuro, il più importante e innovativo centro di
formazione ed accompagnamento al lavoro d’Italia, nel cuore di
Testaccio.
Il titolo del Salone è
“La grande mutazione”. «Quella prodotta»,
spiegano Giulio Marcon e Goffredo Fofi, tra gli organizzatori, «non
solo dai sei anni di crisi economica che ha colpito il mondo dalla
fine del 2007, ma da un trentennio di politiche neoliberiste che
hanno cambiato la politica, la società, i modelli produttivi, i
consumi, i comportamenti e persino l’antropologia di una parte
consistente del nostro pianeta. E che vede mutare i cittadini in
consumatori, l’economia in un grande casinò o centro commerciale,
la politica in una ancella degli interessi di finanzieri e
speculatori, la cultura in un inutile rito consolatorio».
La “grande
mutazione” evoca quella “grande trasformazione” che ha
raccontato l’economista ungherese Polanyi nell’omonimo libro,
descrivendo il passaggio – tra il XVI e il XVII secolo – da una
società che incorpora l’economia a un mercato che ingloba la
società.
C'è bisogno di rimettere al centro la dimensione etica, dell’esempio, del “ben fare”
«Con questa edizione»,
aggiungono Marcon e Fofi, «vogliamo
ricordare che la crisi globale che stiamo attraversando non è
contingente, né legata solamente al declino dei sistemi produttivi o
di uno specifico modello economico. Ha bisogno di una rivoluzione del
modo di pensare, di comportarsi: di rimettere al centro la dimensione
etica, dell’esempio, del “ben fare” e di un paradigma
differente del rapporto tra economia e politica, ecologia e tecnica,
società e individuo».
A parlarne, 130 ospiti
italiani e stranieri. Don Vinicio Albanesi ha presentato la sua
autobiografia “La finestra sulla strada”, l’intellettuale
polacco Adam Michnik e il sociologo tedesco Claus Offe si sono
interrogati su “Che fare dell’Europa?”, mentre Giuseppe de Rita
e Raniero La Valle riflettevano su “Dossetti. Religione e
politica”.
E poi tanti altri nomi, dai ministri Giovannini e Kyenge
a Luigi Manconi e Stefano Rodotà. La nostra cecità verso l’“altro”
è stata messa in musica dai Fratelli Mancuso, interpreti della
tradizione folklorica siciliana, premiati all’ultima Mostra del
Cinema di Venezia per la migliore colonna sonora. E ancora, dibattiti
sull’eredità delle guerre in Afghanistan, Iraq, Siria, sui diritti
dei carcerati e sull’immigrazione.