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In Puglia per ammirare le sculture di Arnaldo Pomodoro in mostra nei castelli
di Federico II.
Dopo il grande successo di pubblico e di critica dei mesi scorsi, l’esposizione
è stata prorogata fino al 6 gennaio e mercoledì scorso è stato presentato a
Milano, al Pirellone, città dove vive e lavora il maestro, il catalogo della
mostra “Arnaldo Pomodoro nei Castelli di Federico II” a cura de Il Cigno GG Edizioni.
Già trent’anni fa lo storico dell’arte Giulio
Carlo Argan aveva detto che le opere del maestro Pomodoro «piene di valenze aperte, hanno bisogno di siti
significativi con cui combinarsi». Nei castelli federiciani hanno trovato uno
spazio significativo, permettendo loro di rivelarsi in una veste inedita.
La mostra, iniziata a luglio, si articola nel Castello Svevo di Bari, nel sito Unesco di Castel Del Monte e nel castello di
Trani, luoghi attraversati da Federico II che è spesso rappresentato con in
mano una sfera simbolo di potere, lo stesso solido geometrico che ha reso
famoso Pomodoro. L'esposizione, curata da Lea Mattarella e ideata da Nicola
Loi, Tommaso Morciano e Lorenzo Zichichi, comprende non solo le sfere ma lance,
scudi, scettri, obelischi e quei solidi geometrici cui la superficie è stata
rotta dall'artista per indagarne l'interno, oltre a opere come per esempio
l'omaggio al presidente americano John Fitzgerald Kennedy.
Un momento della conferenza stampa di presentazione del catalago con il maestro Pomodoro e, a destra, Lorenzo Zichichi
«Conoscevo i luoghi, dove sono stato molte volte, sapevo dove collocare le opere: trovare subito lo spazio giusto per uno scultore è il massimo», ha spiegato l'artista alla presentazione.
Alla Puglia Pomodoro è legato dal punto di vista affettivo (la sua famiglia è originaria di Molfetta, in provincia di Bari) e con questa mostra ne ha ravvivato il legame dal punto di vista artistico. Gli scettri, gli scudi, le lance di luce, le steli, le sfere del maestro, originali declinazioni di emblemi antichi spesso legati all’attualità, dialogano idealmente con i luoghi dello “Stupor Mundi”.
La sfera, simbolo del potere imperiale di Federico II, ha in Pomodoro il suo massimo interprete contemporaneo. «Le celeberrime Sfere, che incontriamo come fossero vecchie amiche andate a conquistare qua e là diversi continenti», scrive Lea Mattarella, curatrice della mostra «sono, a ogni incontro, sorprendentemente uniche e irripetibili. La ragione sta proprio nella relazione che creano con ciò che le circonda: il cielo, gli edifici, la vegetazione, i monumenti. Questi oggetti dall’insolita e potente presenza, sono capaci di mettersi in ascolto dei luoghi»
«Se parliamo di genius loci, nel suo tenere
insieme diverse realtà italiane», continua Mattarella, «Pomodoro ha davvero le
carte in regola per una contaminazione feconda e creativa. L’impaginazione di
questa monumentale mostra divisa in tre tappe è stata naturalmente pensata in
prima persona dallo scultore, consapevole di quanto le sue opere siano capaci
di rappresentare uno spettacolo che tutte le volte rivela aspetti
imprevedibili, mai colti prima. Irrevocabilmente spazio e forma, nella sua
testa e nella sua mano, sono inseparabili».
Un itinerario che non si esaurisce solo con
la Puglia imperiale dei castelli. C’è anche Emilio Greco che espone al Museo
Nazionale archeologico di Gioia del Colle con la mostra “L’istante della tua
bellezza" prorogata fino al 30 gennaio. Mentre al MARTA, il Museo nazionale
archeologico di Taranto, è possibile incontrare le “donne” di Giacomo Manzù. L’esposizione
si apre con la splendida tela Pittore e modella del 1958, che ritrae la moglie
Inge con i vestiti su una sedia, e si snoda attraverso una serie di sculture,
disegni e incisioni in cui la figura femminile viene indagata e rappresentata
con passione meticolosa.
«Manzù», spiega la storica e critica
d'arte Brigida Mascitti, «è un artista che ha basato la sua arte su
due tematiche: quella spirituale o religiosa e quella amorosa o
profana, due temi antitetici che hanno dialogato insieme. Attraverso
la tematica amorosa, a partire dagli anni ’60, Manzù ha avuto modo
di esternare il proprio estro artistico slegato dalla committenza
ecclesiastica, un periodo gioioso che dimostra attraverso una serie
di opere rappresentative delle sue donne e dei figli. Di fatto, Manzù
è uno scultore, ma il suo fare pittorico non è da meno del fare
plastico. Sia nel disegno, sia nella scultura vien fuori il suo stile
assolutamente classico, ma senza tempo, uno stile che si rifà a
modelli rinascimentali, ma che non lo allontanano dal contemporaneo e
dall’avanguardia».