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venerdì 24 marzo 2023
 
Studio&lavoro
 

Neolaureato resisti, il meglio arriverà

12/03/2014  I dati del rapporto Alma Laurea: aumenta la disoccupazione tra i neolaureati, anche se le condizioni di lavoro e retribuzione migliorano dopo cinque anni. In ogni caso, la laurea è meglio averla.

Tempi duri per i neolaureati (Corbis).
Tempi duri per i neolaureati (Corbis).

La brutta notizia, tutt’altro che inaspettata, è che i dati sull’occupazione, o meglio sulla disoccupazione dei neolaureati, sono e rimangono drammatici. La buona notizia è che, trascorsi cinque anni dalla laurea, le cose migliorano. In ogni caso, chi non ha una laurea ha prospettive ancora peggiori.

E’ questa la fotografia che ci restituisce il XVI rapporto di Alma Laurea. L’indagine, che  ha coinvolto 450.000 laureati nei 64 atenei aderenti al consorzio, evidenzia un netto deterioramento delle condizioni occupazionali, in particolare tra i neolaureati.

Aumenta infatti la disoccupazione rispetto all’anno passato. Tra i laureati triennali che non risultano iscritti a un altro corso di laurea è cresciuta di quasi 4 punti percentuali, dal 23% al 26,5%. Lievita anche tra i laureati magistrali, dal 21 al 23%, e persino tra i laureati magistrali a ciclo unico, come i laureati in Medicina, Architettura e Veterinaria, le cosiddette lauree forti, passando dal 21 al 25%.

Diminuisce la stabilità e cala la retribuzione, che si attesta complessivamente attorno ai 1000 euro netti mensili con una contrazione pari al 5% tra i triennali, al 3% fra i magistrali e al 6% tra i colleghi a ciclo unico. Rispetto ai neolaureati del 2008, il calo è del 20%.

Ma le cose migliorano già a cinque anni dalla laurea. La disoccupazione si attesta su valori decisamente più contenuti, indipendentemente dal tipo di laurea, comunque inferiori al 10%. E così si scende all’ 8% per i laureati di primo livello, 8,5% per i magistrali e 5% per quelli a ciclo unico. Migliora anche la stabilità e la retribuzione.

In ogni caso, le fonti ufficiali ci dicono che, nonostante tutto, la laurea conviene. Anche in tempi di crisi. I laureati infatti presentano un tasso di occupazione di 13 punti percentuali maggiore rispetto ai coetanei diplomati e anche la retribuzione premia i titoli di studio superiori, in linea con quanto avviene negli altri paesi europei. Eppure, ancora oggi, meno del 30% dei diciannovenni si iscrive all’università. C’è la crisi che stritola le famiglie, ma soprattutto è radicata la sfiducia nel titolo di studio e più in generale nell’istruzione.

La strada per il diritto allo studio è ancora lunga ed è difficile immaginare, di fronte a dati così allarmanti, che le misure previste dallo Jobs act, bandiera del nuovo Governo, possano bastare. 

Intanto, dal fronte universitario arriva un’altra brutta notizia, questa volta dall’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. Secondo la prima sperimentazione sulle competenze generali dei laureandi italiani, un’indagine condotta su 6 mila studenti in 12 atenei italiani (compresi la Statale di Milano e la Sapienza di Roma) nell’arco di un periodo di 18 mesi, i  migliori studenti risultano quelli di Medicina. Una buona prospettiva per la nostra sanità. Ma l’ultimo posto, a lunga distanza, se lo aggiudicano quelli dei corsi di Scienze della Formazione, ovvero quelli che diventeranno i maestri e le maestre dei nostri figli.

 

 

 
 
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