Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
mercoledì 06 novembre 2024
 
 

«Mio zio, Pablo Neruda»

11/09/2013  A quarant'anni dalla morte, avvenuta il 23 settembre del 1973, il nipote Bernardo Reyes, anch'egli scrittore, ricorda la figura del grande poeta cileno, l'eredità che ha lasciato e gli ultimi giorni di vita mentre si consumava il golpe...

“Temuco è cambiata da allora. Conservo ancora un appartamento, ma ormai ci torno poco perché da dieci anni vivo a Santiago”. La mente corre all’infanzia, alla casa di famiglia: qui il piccolo Bernardo Reyes è cresciuto in compagnia del nonno Rodolfo, fratello di Laurita e Naftalì Reyes, quest’ultimo meglio conosciuto con il nome d’arte di Pablo Neruda. Sono trascorsi quasi quarant’anni da quel 23 settembre 1973 quando Neruda morì, dodici giorni esatti dopo la caduta di Allende e l’avvento della dittatura di Pinochet.

Anche Bernardo, classe 1951, è diventato poeta e saggista: dal suo libro Retrato de familia (Neruda 1904-1920) che ricostruisce gli anni giovanili di Neruda, è stata tratta una fiction Tv di successo in Cile. Con lui ripercorriamo le pagine del suo diario personale: i ricordi intimi si intrecciano con la memoria di una nazione ancora lacerata dal suo recente passato.

Com’era Pablo Neruda visto con gli occhi di un bambino?
«Una persona allegra, sempre disposta a scherzare con noi bambini. Giocavamo a travestirci da fantasmi, anche gli adulti dovevano indossare coperte e lenzuola. A giocare con noi, oltre a zio Pablo, c’erano il poeta Thiago de Mello, il direttore del giornale venezuelano El Nacional Miguel Otero Silva e alcuni deputati e politici che frequentavano la nostra casa».

A distanza di 40 anni dalla sua morte quali sentimenti evoca nella cultura e nella società cilena il nome di Pablo Neruda?
«È una figura ancora attuale, amata in modo trasversale in America Latina come sicuramente in Europa. Lo testimonia il successo dei suoi libri: generalmente le edizioni delle opere letterarie cominciano a diminuire con la morte dell’autore. Non nel caso di Neruda: dopo 40 anni ancora si succedono nuove edizioni e nuovi tributi in tutto il mondo».

Cosa significava leggere o parlare di Neruda sotto la dittatura di Pinochet?
« Tutta la poesia di mio zio è espressione di ricerca di libertà e riflessione sull’umanità. Per questo la sua letteratura è stata un faro che ha illuminato la coscienza del nostro Paese. Ancora oggi non è raro trovare versi delle sue poesie sui muri delle strade».

In che modo Neruda influenza le nuove generazioni di letterati cileni?
«I poeti di lingua spagnola sono stati influenzati da Neruda, perché ha saputo innovare la nostra letteratura. È stato il modello per la mia generazione e lo è oggi per i giovani. La sua idea di poesia libera rimane l’aspetto più affascinante».

L’amore è parte fondamentale dell’opera di Neruda... 
«Sapeva esplorare ogni piega dell’amore e tradurlo in versi in modo naturale ed emozionante. Questo vale fin dall’inizio della sua produzione. Pensiamo ad un’opera come Veinte poemas de amor, che detiene un record per numero di edizioni in lingua straniera e per numero di copie vendute».

11 settembre 1973: il golpe cileno. 23 settembre: la morte del poeta. Come visse Neruda quei giorni che coincidono con la fine della sua vita e del sogno democratico cileno?
«Per ironia della sorte l’agonia del Cile coincise con quella del suo maggior intellettuale. Come mi raccontò mia zia Laurita, l’eco della brutalità e la follia di quel golpe lo raggiunse nel suo letto di casa e poi a Villa Santa Maria, la clinica dove è morto. Neruda soffriva per il destino del Paese e per il sogno spezzato della democrazia. Ma il Cile non ha dimenticato la lezione del suo poeta e i primi atti della resistenza cilena hanno cominciato ad organizzarsi attraverso omaggi a Neruda».

Sulla scomparsa di Neruda ci sono ancora delle ombre. Ufficialmente morì per un tumore, ma forse i fatti non sono andate veramente così. Qual è la sua opinione?
«Due sono i testimoni della morte di Neruda: la moglie Matilde Urrutia - che gli aveva ispirato i Versi del Capitano scritto a Capri - e sua sorella Laura Reyes. Negli ultimi tempi è emersa la teoria dell’omicidio sulla base delle dicerie dal suo autista, che non era nemmeno presente quando sarebbe stata praticata l'iniezione dal presunto assassinio. Sul caso la giustizia cilena ha fornito uno spettacolo vergognoso. La tesi del presunto omicidio è stata finalmente confutata: era un’assurdità totale. Mi auguro che dopo questa vicenda, in particolare dopo la riesumazione dei suoi resti, il poeta possa riposare in pace lontano una volta per sempre dallo sciacallaggio dei tabloid».

Un’ultima domanda: come uomo e intellettuale, quale insegnamento di suo zio l’ha accompagnata per tutta la vita?
«Siamo una famiglia numerosa, ma nessuno dei miei parenti ha seguito le orme dello zio, a parte me. Per quanto mi riguarda ho appreso da lui il gusto per la creazione letteraria intesa come passione e fatica. Non posso non ricordare il suo amore per la vita e la tensione etica con la quale è vissuto. Pablo Neruda sapeva sorprendersi sempre: come un bambino».

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo