Come già in passato, anche quest’anno Pasqua ci ha portato, insieme alla colomba e alle uova di cioccolato, il Report dell’Istat sugli indicatori demografici nazionali, riferiti al 2023 (https://www.istat.it/it/files//2024/03/Indicatori_demografici.pdf). Solo che, diversamente dal classico uovo pasquale, questi non contengono alcuna sorpresa, se non l’ennesima, drammatica conferma che le tendenze demografiche negative che hanno caratterizzato gli ultimi decenni non hanno subito alcuna variazione positiva, anzi sono peggiorate. Riportiamo qui, sinteticamente, i dati principali contenuti nel Report, che possiamo definire, senza tema di esagerare, agghiaccianti (corsivi nostri).
«Con appena 379mila bambini venuti al mondo, il 2023 mette in luce l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013. Un processo, quello della denatalità, che dal 2008 (577mila nascite) non ha conosciuto soste… .
La riduzione della natalità riguarda indistintamente nati di cittadinanza italiana e straniera. Questi ultimi, pari al 13,3% del totale dei neonati, sono 50mila, 3mila in meno rispetto al 2022. La diminuzione del numero dei nati residenti del 2023 è determinata sia da una importante contrazione della fecondità, sia dal calo della popolazione femminile nelle età convenzionalmente riproduttive (15- 49 anni), scesa a 11,5 milioni al 1° gennaio 2024, da 13,4 milioni che era nel 2014 e 13,8 milioni nel 2004… .
Il numero medio di figli per donna scende così da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, avvicinandosi di molto al minimo storico di 1,19 figli registrato nel lontano 1995. La contrazione del numero medio di figli per donna interessa tutto il territorio nazionale. In tale contesto, riparte la posticipazione delle nascite, fenomeno di significativo impatto sulla riduzione generale della fecondità, dal momento che più si ritardano le scelte di maternità più si riduce l’arco temporale disponibile per le potenziali madri. Dopo un biennio di sostanziale stabilità, nel 2023 l’età media al parto si porta a 32,5 anni… .
Al 1° gennaio 2024 la popolazione residente presenta un’età media di 46,6 anni, in crescita di due punti decimali (circa tre mesi) rispetto al 1° gennaio 2023. La popolazione ultrasessantacinquenne, che nel suo insieme a inizio 2024 conta 14 milioni 358mila individui, costituisce il 24,3% della popolazione totale, contro il 24% dell’anno precedente. Aumenta il numero di ultraottantenni, i cosiddetti grandi anziani: con 4 milioni 554mila individui, quasi 50mila in più rispetto a 12 mesi prima, questo contingente ha superato quello dei bambini sotto i 10 anni di età (4 milioni 441mila individui). Questo rapporto, che è ora sotto la parità, era di 2,5 a 1 venticinque anni fa e di 9 a 1 cinquanta anni fa».
Ecco, se si vuole avere una fotografia eloquente della differenza tra l’Italia di cinquant’anni e di oggi, queste ultime righe sono illuminanti: laddove vi erano 9 bambini minori di 10 anni per ogni anziano ultraottantenne, ora ve ne sono praticamente lo stesso numero!!!
l'impatto sul futuro del nostro paese
Che dire? Con questi numeri, l’Italia si sta avviando verso il baratro dell’insostenibilità dei propri sistemi sociali, sanitari, previdenziali, ed in definitiva dell’intero sistema economico. È troppo tardi? Forse sì, soprattutto se non si prende coscienza che la spirale al ribasso può essere contenuta, ma non capovolta, come dimostra il dato sulla diminuzione (strutturale, in quanto figlia del crollo delle nascite degli anni ’90) della popolazione in età riproduttiva. Si tratta quindi di agire subito, senza perdere un minuto, contemporaneamente su almeno due fronti: un rilancio serio e duraturo di un pacchetto di politiche familiari veramente incisive, ed un diverso approccio al tema dell’immigrazione.
Sul primo aspetto il Rapporto 2023 del Centro Internazionale Studi Famiglia, Politiche al servizio della famiglia (San Paolo, 2023), dopo aver dimostrato – se ancora ve ne fosse bisogno! – le imprescindibili ragioni demografiche, giuridiche, economiche e culturali che rendono urgente e indispensabile un deciso cambio di passo delle politiche familiari praticate (o meglio non praticate) in Italia, nelle sue conclusioni indica, in estrema sintesi, almeno questi provvedimenti: intervenire sulla fiscalità, riequilibrando il prelievo fiscale in relazione ai carichi familiari; modificare l’ISEE (indicatore Situazione Economica Equivalente), che attualmente non tiene sufficientemente in considerazione il numero di figli; sostenere i congedi parentali, in particolare potenziando ulteriormente quello dei padri; sostenere i genitori nei primi anni di vita dei figli, con asili nido e altre forme simili; ridurre il debito pubblico per liberare risorse gli interventi a favore delle famiglie e per non scaricare sulle generazioni future un peso insostenibile; investire sul lavoro dei giovani e delle donne.
Per quanto riguarda la questione immigrazione, basterebbe partire da quello che l’Istat scrive nel Report che stiamo commentando: «Le migrazioni con l’estero giocano un ruolo importante nel contesto demografico del Paese. Nel 2023, oltre a contrastare il calo della popolazione con un saldo migratorio che compensa, quasi del tutto, il saldo naturale negativo, esse contribuiscono a rallentare il processo di invecchiamento. L’ingresso di nuovi immigrati dall’estero, infatti, non solo concorre alla crescita della popolazione direttamente con il loro arrivo, ma ne ringiovanisce la struttura per età, rinvigorendo le fasce di popolazione attiva, e ha un effetto, seppur sempre più debole, anche sui livelli di fecondità».
Alla luce di queste considerazioni, possiamo dire che la retorica anti-immigrati, condita da paure e polemiche pretestuose (vedi la recente vicenda della scuola di Pioltello, con i servizi riportati in questo sito), su cui da decenni alcune formazioni politiche hanno costruito il loro successo elettorale, oltre a essere velleitaria (ormai anche gli stolti dovrebbero aver capito che lo spostamento di popolazioni dalle aree più povere a quelle più sviluppate del mondo per le ragioni che ben sappiamo è strutturale, e non episodico), disumana (tratta degli esseri umani come numeri, con le conseguenze letali che abbiamo visto nel naufragio di Cutro, e con il resto delle morti nel Mediterraneo che papa Francesco non si stanca di denunciare) e immorale (soprattutto per chi pubblicamente fa professione di cristianesimo, ma deve aver dimenticato o forse mai letto il capitolo 25 del Vangelo di Matteo), è anche autolesionista. Ricordando i dati riportati sopra, il commento dello stesso Istat, è chiaro che l’immigrazione, oltre a essere inevitabile, è anche una potenziale risorsa. L’integrazione degli stranieri che giungono tra noi è difficile? Certamente, e negarlo sarebbe sciocco, ma questo dovrebbe spingere non al rifiuto e alla chiusura, bensì a un surplus di impegno, di creatività, di risorse usate in modo intelligente, per costruire insieme un’Italia di domani che riesca ancora a reggersi sulle proprie gambe.