Nicola Gratteri è procuratore aggiunto a Reggio Calabria, ha lavorato con Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino, al ramo calabrese dell'inchiesta nota alle cronache come Crimine-Infinito. Il troncone lombardo, coordinato da Ilda Boccassini, Paolo Storari e Alessandra Dolci, nei giorni scorsi ha avuto piena conferma in Cassazione, mentre il Paese annega nella corruzione dilagante.
Dottor Gratteri, è davvero una sentenza storica? Perché?
«Certamente è di fondamentale importanza, la sentenza della Cassazione conferma la presenza massiccia della ‘ndrangheta in Lombardia, ma anche in passato ci sono state inchieste di enorme rilievo, grazie a magistrati quali Alberto Nobili e Armando Spataro, che hanno dimostrato l’esistenza della ‘ndragheta in Lombardia. Purtroppo, c’è la tendenza a dimenticare, a sottovalutare esiti giudiziari importanti, quali quelli scaturiti da indagini come Nord-Sud, Zagara, La notte dei Fiori di San Vito e Riace. L’inchiesta Crimine-Infinito ha confermato molte delle “intuizioni investigative” del passato sull’unitarietà della ‘ndrangheta e sulla capacità di questa organizzazione criminale di mettere radici anche lontano dai territori di origine».
Quel processo, iniziato con l'indagine diventata pubblica nel 2010, svelava tra l'altro gli appetiti della 'ndrangheta sull'Expo, oggi ne vediamo, da altre indagini, la faccia corrotta: è un caso corruzione e criminalità organizzata spesso ramifichino dalla stessa malapianta?
«Il professor Antonio Nicaso, mio coautore ed esperto di mafie a livello internazionale, dice sempre che ci può essere corruzione senza mafia, ma non c’è mafia senza corruzione. Le indagini confermano questo assioma. Quello che prima si faceva con la violenza, oggi si fa con la corruzione, utilizzando prestanomi, avvocati, broker, commercialisti, faccendieri di ogni tipo. Le mafie, ed in modo particolare la ‘ndrangheta che ricava gran parte dei suoi proventi dal traffico internazionale di cocaina, ha bisogno di giustificare la propria ricchezza. Cerca di infiltrarsi dove c’è da gestire denaro e potere. Lo fa da sempre, anche se parte della politica tende a dimenticare e a sottovalutare gli esiti processuali, probabilmente per una sorta di marketing territoriale».
Che cosa deve aspettarsi un magistrato dal legislatore per un contrasto serio?
«Bisogna continuare ad aggredire i patrimoni mafiosi, ma soprattutto le cointeressenze, sempre più frequenti, tra politici e mafiosi. La lotta alle mafie non può prescindere da questi presupposti investigativi. Le mafie vanno impoverite, così come le risorse pubbliche vanno attentamente monitorate. Se non cominciamo a fare pulizia nel settore delle opere pubbliche, faremo sempre più fatica a combattere le mafie. Le organizzazioni mafiose per sopravvivere e rafforzarsi hanno bisogno di stringere relazioni con il potere».
La magistratura per reprimere, l'authority e la politica per prevenire: quanto è importante che le due cose coesistano?
«Sono due aspetti fondamentali. Non dovrebbe essere la magistratura a fare le pulci alla politica. Dovrebbe essere la politica a isolare i comportamenti discutibili, i rapporti con i mafiosi, le frequentazioni pericolose. Una volta c’erano i probiviri, oggi avanzano i furbi. La politica dovrebbe rimettere l’etica, i comportamenti virtuosi al centro del dibattito. Quando interviene la magistratura spesso è troppo tardi. Bisognerebbe prevenire certe pratiche e certi comportamenti. Mi auguro che la politica sia in grado di rigenerarsi».
Quanto è alto il rischio che si prevenzione e azione penale si intralcino a vicenda?
«Per combattere le mafie, così come la corruzione, c’è bisogno di una forte volontà politica. Nel rapporto presentato all’allora presidente del Consiglio, Enrico Letta, abbiamo indicato una serie di proposte. Mi auguro che il Parlamento abbia la forza e la volontà di adottarle».
Sentiamo parlare di poteri speciali all'Authority, di che cosa avrebbe bisogno per non essere una foglia di fico?
«Avrebbe bisogno di tutti quei poteri necessari per incidere, garantendo strumenti legislativi adeguati. Cantone è stato chiaro: non ha nessuna intenzione di fare passerella. È un magistrato serio e preparato. Resterà al suo posto, solo se gli verranno garantiti i poteri che ha chiesto al Governo».
Quando si parla di commissariamenti e di appalti da revocare le imprese insorgono e i lavoratori temono per il lavoro: esistono modi concreti di ripulire senza fermare tutto? O è un'utopia una volta scoperto un caso Expo, un caso Mose?
«Bisogna fare prevenzione, bisogna seguire attentamente tutta la filiera degli appalti. Si potrebbe cominciare con una sorta di “white list", una lista nella quella figurano aziende con profili virtuosi, affidabili, lontane da compromessi e contiguità politico-mafiose».
Esiste ancora una speranza di contrasto quando la corruzione lambisce anche i controllori? Esiste solo nella misura in cui si decide di voltare seriamente pagina. Non servono rattoppi, ma misure drastiche ed esemplari. Oggi non domani».