Nicole Orlando, 22 anni, con la mamma e le medaglie vinte ai Mondiali Iaads.
Ha lunghi capelli biondi e un sorriso che vira spesso in una risata a tono. Arriva sola al cancelletto che delimita l’area della palestra, lo varca e tende la mano agli sconosciuti lì per lei.
Nicole Orlando, 22 anni, è tornata con quattro medaglie d’oro e una d’argento nell’atletica dai Mondiali per atleti con disabilità intellettive e relazionali, e si è scoperta famosa all’improvviso, complice la lacrima che ha lasciato scivolare sul podio, laggiù in Sudafrica, avvolta nella bandiera. La popolarità l’ha investita come una folata di vento, ai primi di un dicembre travestito da primavera: «Mi cercano come Bolt», ride. Per niente intimidita: «No, mi piace. E mi piace vincere».
Sono così, i campioni. Solo chi vuole vincere ce la fa, solo chi non si arrende. In questo sono davvero tutti uguali.
È cominciato tutto quasi vent’anni fa. Alla palestra grigia fuori, luminosissima dentro, dietro la stazione di Biella, s’è affacciata una mamma con la sua bimba di due anni e mezzo. Ad accoglierle c’erano Franco Ruffa e Anna Miglietta, lui presidente, lei tecnico della Società ginnastica La Marmora, ex allenatrice della Nazionale di ginnastica ritmica. Franco è scomparso poco più di un anno fa. Quel giorno non sono arrivati fiori recisi, Anna non li voleva. È arrivato il ginkgo biloba, l’albero della vita, che vigila dal parchetto pubblico di fronte alla palestra.
Quando sono arrivate mamma e bambina, Franco e Anna hanno agito nel loro stile: hanno aperto le porte, del cuore anche. «La sindrome di Down di Nicole non era un problema per noi: a due anni e mezzo lo sport è un gioco e si gioca tutti ciascuno come può».
È una filosofia dello sport che qui vale per tutti: c’è dentro l’idea che non valga la pena di chiudere precocemente fuori la vita per vincere, tanto le medaglie, con lavoro e talento, arrivano. Non solo quelle del Team Ability, di cui fa parte Nicole, cresciuto in due anni da 3 a 16 unità, anche quelle di chi aspira ai vertici assoluti.
Nicole allora ha fatto ginnastica con le bimbe normodotate e oggi per gioco posa davanti al fotografo sugli attrezzi che non sono più i suoi perché crescendo si è data al nuoto, al tennis tavolo, all’atletica, fino a quelle cinque medaglie mondiali.
Si prepara a posare, sta infilando al collo le sue cinque medaglie: «Serve una mano?». «No, no. Ce la faccio da sola». Nella frase c’è il motto di una vita, il motto di una famiglia e di una società sportiva che non si sono arrese alle colonne d’Ercole. «Mai dire non ce la faccio. Si prova».
Roberta Bechia, la mamma di Nicole, racconta lo smarrimento del primo momento: «Un giovane medico mi disse che era il caso più grave che avesse visto: ho scoperto dopo che era il secondo di due. All’inizio è dura, sogniamo tutte il bambino perfetto. Per un po’ cadi nella trappola di confrontare la tua bimba con gli altri, ti illudi che il tempo aggiusti, poi fai pace con l’idea che la distanza aumenterà. Da quel momento Nicole è stata solo Nicole: una figlia, da crescere come gli altri, cercando di fare le cose bene».
Dove “bene” è pattuire con le maestre del nido che a una cosa che non si fa si dice “no”, Down o non Down. È andare a scuola (fino alla maturità all’istituto tecnologico con 100) e non fermarsi all’alfabeto maiuscolo: «A Nicole piace leggere, quando mai troverà un libro scritto così?». È fare sport «affidandosi a chi lo conosce, anche se lo scopo non è vincere».
Nicole ringrazia tanti: «L’insegnante di sostegno delle superiori, i compagni e gli allenatori con cui difenderà a Firenze nel luglio prossimo la maglia azzurra alle Olimpiadi (il primo esperimento di Trisome Games, Olimpiade riservata ad atleti con sindrome di Down, ndr), il gruppo della scuola di teatro». Con loro Nicole ha portato in scena un musical: interpreta una ragazza Down che si ribella ai pregiudizi del gruppo. Lei che con il suo carattere, spesso, i pregiudizi li ha spenti prima che sbocciassero. Basta osservarla nell’atrio circondata da chi entra a complimentarsi. Ringrazia gentile e intanto, con la coda dell’occhio, sbircia i ragazzi dell’artistica che si allenano e davanti a un esercizio ben fatto ha un moto di ammirazione autentica: «Wow!». Sa la costanza che ci vuole, la fatica che si fa.
Da grande le piacerebbe fare la segretaria e Anna replica che se avesse i mezzi l’assumerebbe al volo. Nel frattempo Nicole impara e quando ha tempo la mattina riordina la casa e prepara il pranzo per la famiglia. Le preoccupazioni dei genitori non finiscono, ma vedere un figlio che lascia indietro le sue colonne d’Ercole «è una grande soddisfazione».