Una donna entra nella casa museo di Luciano Pavarotti a Modena e subito si ritrova avvolta dalla sua voce che si riverbera in ogni stanza: «Voglio vivere così, col sole in fronte...». Poi trova ad accoglierla sua moglie Nicoletta Mantovani.
Allora non ce la fa più: scoppia a piangere e quasi si scusa con lei: «Non me l’aspettavo, non so cosa mi succede, ma l’emozione di trovarmi qui con lei è troppo forte». Neanche Nicoletta si aspettava tutto l’affetto che sta ricevendo in questi giorni in cui sta preparando le commemorazioni per il decennale dalla scomparsa di Pavarotti: «Stiamo ricevendo chiamate da tutto il mondo da persone che vogliono ricordarlo. È bello vedere quanto l’amore verso di lui sia ancora così vivo».
L’evento che darà il via alle celebrazioni sarà proprio il 6 settembre, nel giorno della scomparsa del maestro: dall’Arena di Verona, Carlo Conti condurrà su Rai 1 in prima serata Pavarotti, un’emozione senza fine: «Cercheremo di raccontare la storia artistica e personale di Luciano in compagnia delle persone che gli hanno voluto bene, a cominciare da José Carreras e Placido Domingo, per continuare con Fabio Fazio e Alessandro Del Piero. Un omaggio speciale arriverà da Nicola Piovani che ha composto una lirica, Luciano, proprio per quest’occasione».
Ma ci saranno anche artisti del mondo pop con cui il maestro ha condiviso la stagione dei concerti di beneficenza Pavarotti and friends: da Zucchero, a Giorgia, a Eros Ramazzotti. Come per quei concerti, anche stavolta una parte dell’incasso sarà devoluto all’Unhcr per il sostegno ai rifugiati.
E, ovviamente, anche stavolta non mancheranno i melomani che storceranno il naso. «Luciano era abituato a queste critiche fin da quando, negli anni ‘70, si esibì al Madison Square Garden, il tempio dello sport di New York, ricorda Nicoletta. «Allora ci fu chi scrisse: “Va a cantare dove si sente ancora il rumore dei palloni”. Ma a lui importava solo far conoscere la lirica a quanta più gente possibile, come accadeva in passato quando anche le persone più umili fischiettavano le arie d’opera. E poi ripeteva sempre che non esiste musica “colta” e musica “non colta”, ma solo musica bella e musica brutta. Lui amava il contatto con le persone e in sua presenza tu ti sentivi capace di fare qualsiasi cosa».
Ci trasferiamo nell’ingresso della casa museo, dominato da un grande tavolo. «Era la sua centrale di controllo. Qui accoglieva la gente, di fronte c’è la cucina e a sinistra c’è il pianoforte dove lui dava lezione ai ragazzi, sempre gratuitamente. Anche il 6 settembre a Verona vedremo alcuni ex allievi che adesso sono diventati artisti di fama, a cominciare da Vittorio Grigolo. Venne a preparare la sua Bohème in luglio e Luciano morì il 6 settembre: fino all’ultimo, ha vissuto con il cuore rivolto verso i giovani».
Giovani che lo amano anche se non lo hanno mai conosciuto, come testimoniano i bigliettini che i visitatori lasciano ogni giorno in una stanza a loro dedicata. Sono scritti in tutte le lingue del mondo. Ecco per esempio quello di Ahmed: «Ciao Luciano! Sono Ahmed e ho 15 anni. Sono un grande amante dell’opera lirica e della musica classica e tu sei il mio idolo. Spero che tu viva in pace in cielo».
Anche Nicoletta è stata, suo malgrado, un’allieva di Luciano. «Sono sempre stata stonatissima e per lui questa cosa era inaccettabile. Per anni ha provato a convincermi che con l’esercizio nessuno resta stonato, ma quando mi faceva cantare, scuoteva la testa e mi diceva incredulo: “Ma come fai?”. Poi si è arreso, mi ha detto che ero l’eccezione che confermava la regola. Allora abbiamo iniziato a divertirci. Prendevamo delle opere, soprattutto Tosca, e invertivamo i ruoli: lui faceva il soprano e io il tenore. Abbiamo passato interi pomeriggi così». Ma non ha mai cantato solo per lei. «A parte una volta, durante un mio compleanno. Disse che mi dedicava una canzone, ma poi la cantò tutta stonata. Erano tutti imbarazzatissimi, a parte me che ridevo come una matta perché sapevo che lui era un buontempone».
Pavarotti aveva una grande passione per i giochi con le carte, in particolare la briscola. Era capace di farsi una partita pochi istanti prima di andare in scena. «Sì, era un bravissimo giocatore», conferma la moglie. «Ma non giocavamo mai insieme. Io facevo coppia con suo padre o con degli amici. Non voleva mai perdere. Ho una foto di nostra figlia Alice a 9 mesi che aveva già le carte da briscola in mano».
La casa è come Luciano l’ha lasciata, con i quadri che amava dipingere, la collezione di cappelli e di foulard, le camicie dai colori sgargianti, i Dvd del tenente Colombo e di partite dell’amata Juventus, i cimeli musicali, i suoi costumi di scena, e gli innumerevoli premi che ha ricevuto. Il più curioso è una pala di metallo. «Gliela regalò Carlo d’Inghilterra perché Luciano fece un concerto per aiutare la sua fondazione. Dopo andarono insieme a piantare un albero ad Hyde Park e lo fecero con questa pala».
C’è anche la cucina tutta gialla «dove ogni cosa è doppia, due lavelli, due lavastoviglie, perché qui era sempre pieno di gente e Luciano cucinava per tutti» e la grande camera da letto, dove il maestro ha vissuto i suoi ultimi giorni, con un nestrone da cui si gode una bellissima vista sulla campagna circostante «perché per lui era molto importante ricordarsi sempre delle sue origini contadine».
Sul letto, afancate, ci sono le foto di Luciano e Nicoletta con la loro piccola Alice e di Luciano con le altre tre glie avute dal primo matrimonio con Adua Veroni: Cristina, Lorenza e Giuliana. Nicoletta firmò con loro tre una lettera per esprimere a nome della famiglia Pavarotti la disapprovazione per l’uso di Nessun dorma cantata dal maestro durante la campagna elettorale di Donald Trump.
Il tempo ha dunque sanato le divisioni. «Ci sono stati momenti difficili per entrambe le famiglie, ma non c’è mai stata una vera frattura», spiega Nicoletta. «Cristina ha una bambina dell’età di Alice, Caterina. Fin da piccole hanno sempre giocato insieme».
Alice aveva appena quattro anni quando ha perso il suo papà. «Una delle cose che ricorda di più di lui sono i pomeriggi passati a disegnare insieme. Spesso le faccio vedere dei video di quando lei era piccola. Ce n’è uno che mi commuove sempre. Lei era appena nata. Si vede Luciano che la guarda e poi le canta una ninna nanna. Ricordo che prendeva il latte dal biberon solo quando arrivava lui. Ha il suo stesso sguardo, uno sguardo saggio, di chi sa dove sta andando. E lo ha sempre avuto. È nata di 7 mesi: e quando l’abbiamo presa in braccio per la prima volta, aveva quello sguardo lì. Se Luciano la vedesse, sarebbe orgogliossimo di lei. Ma io credo che la veda».
Il giorno dei funerali, Alice affidò al vescovo Benito Cocchi queste parole: «Papà, so che mi hai tanto amata e so che mi proteggerai sempre. Ti porterò con me nel mio cuore bambino». «Quando i medici mi dissero che Luciano era entrato in coma», ricorda Nicoletta, «ritenni opportuno portare via Alice. Lei lo salutò e lui, anche se non poteva farlo, si è girato e le ha sorriso. È l’ultima cosa che ha fatto prima di morire. Per questo lo sento sempre così vicino a tutti noi».
Foto Naphtalina