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Credere

Nijolé Sadūnaité. Libera dall’odio nonostante l'internamento

20/02/2017  Nijolé Sadūnaité ha passato tre anni in un gulag sovietico e altri tre al confino in Siberia. la colpa? Scrivere per un giornale cattolico. La sua incredibile testimonianza

Si può vivere liberi dall’odio verso i propri nemici? La risposta è il sorriso di Nijolė Sadūnaitė, che dal 1974 al 1980 ha passato tre anni in un gulag sovietico e altri tre al confino in Siberia per aver diffuso un giornale che difendeva la libertà religiosa. Credere incontra questa donna lituana, oggi settantottenne, al Centro culturale di Milano; è arrivata da Vilnius, la capitale lituana, per presentare Il cielo nel lager, che racconta come si possa essere lieti sempre, avere uno sguardo di misericordia non cedendo alla logica della contrapposizione tra vittima e persecutore.

La sua è “una” storia particolare che aiuta a ripercorrere “la” storia del totalitarismo nell’Urss. Nasce nella Lituania cattolica e rurale nel 1938, alla vigilia della spartizione delle repubbliche baltiche tra nazisti e sovietici. «Sono stati i miei genitori ad avvicinarmi alla fede. Prima di dormire, la mamma mi narrava un episodio della vita di Gesù. Mi ripeteva: non odiare, prega per chi non ti vuole bene».

La Lituania è stata in parte considerata un’“isola felice” di libertà religiosa perché, nonostante la repressione comunista, la popolazione era riuscita a conservarsi spazi di libertà impensabili altrove. Dalla Russia diverse persone, con il pretesto di una vacanza, partivano per il Baltico per farsi battezzare. Ma è colpita anche la Lituania: alla morte di Stalin, solo 35 mila dei 200 mila deportati tornano a casa, 330 sacerdoti (un terzo del clero) muoiono in prigione o in lager fra il 1944 e il 1953, diverse chiese vengono chiuse, la letteratura cattolica vietata, sono imprigionati tutti i vescovi tranne uno; rimane aperto un solo seminario, dove sono ammessi cinque studenti l’anno, selezionati dalle autorità tra giovani abbastanza deboli da collaborare con il Kgb. Intanto sono pubblicizzate le “prove” dell’ateismo: i cosmonauti sovietici vanno nello spazio, ma non trovano Dio.

REDATTRICE PER FEDE

Nijolė cresce accanto a uomini di fede che soffrono, ma resistono. «Allora, cittadino prete, hai cambiato le tue convinzioni?», chiedono al padre Dobrovolskis dopo otto anni di lager. «Non si cambiano, cittadino comandante, le convinzioni si approfondiscono», ribatte lui sorridendo. «Nel 1970 la condanna di padre Šeškevičius, per aver insegnato il catechismo a dei bambini, rappresentò una svolta», continua la donna lituana. Dal 1972 Nijolė diviene una delle prime redattrici di Cronaca della Chiesa cattolica in Lituania, rivista che dapprima coinvolge laici e semplici sacerdoti, poi la stessa gerarchia ecclesiastica. La pubblicazione continuerà fino al 1990, con intervalli da uno a tre mesi a seconda delle disavventure dei redattori. «Facevamo sapere al mondo la drammaticità della persecuzione religiosa. Era un bollettino di fatti nudi, intimidazioni subite e arresti».

Faceva parte del samizdat (editoria in proprio), testi clandestini, manoscritti o ciclostilati, in cui gli stessi lettori divengono insieme editori e distributori. Il 27 agosto 1974 Nijolė viene scoperta dal Kgb mentre dattilografa il numero 11 della rivista. La cella in cui è reclusa per dieci mesi è adiacente a un locale con apparecchi che emettono forti radiazioni e che le causano una grave anemia. Il fratello, quando va a trovarla, non la riconosce, tanto è mutata d’aspetto, dimagrita di venti chili e senza capelli. Eppure al processo si rivolge così agli accusatori: «Voglio premettere che, se occorresse, non esiterei a dare la mia vita per ciascuno di voi». È lo stesso atteggiamento che mantiene verso i persecutori, chiamati «fratelli», nei tre anni di detenzione nel campo femminile a regime duro in Mordovia, nei pressi del fiume Volga, e nel triennio di confino a Bogučani in Siberia.

Insomma, vive il sistema concentrazionario che Solženicyn denominerà Arcipelago Gulag, intendendo il “Paese parallelo” venutosi a creare all’interno dell’Urss: abitato dagli schiavi della Direzione centrale dei lager, di cui il regime sfrutta il lavoro coatto ai limiti della sopravvivenza, esercitando su questa massa di “ex uomini” il potere di vita e di morte. Racconta Nijolė: «Ogni prigioniera doveva confezionare 60 paia di guanti al giorno con vecchie macchine da cucire che si guastavano facilmente e filo scadente che si spezzava di continuo. Se non riuscivamo, scattava il carcere punitivo. Lavoravamo dalle 6 del mattino fino alle 10 di sera. Con le 22 detenute del campo», continua, «vivevamo come una famiglia, aiutandoci a non cedere alla disumanizzazione. Davamo più cibo a chi era debole o, quando ci giunse notizia dal lager maschile che al poeta ucraino Semionovič Stus era stato distrutto lo stomaco a botte, iniziammo lo sciopero della fame».

PREGARE NELLO SGABUZZINO

  

I momenti più importanti avvenivano nello sgabuzzino: «Seppur vietato, cantavamo di nascosto lodi a Dio. Ero l’unica cattolica, con me pregavano sette vecchiette ortodosse. Festeggiavamo due Pasque e due Natali secondo i diversi calendari». È l’ecumenismo del sangue che nei gulag ha unito cristiani delle diverse confessioni. Eppure, sorridendo, Nijolė dice: «Sono stati gli anni più belli della mia vita perché non ho mai sentito Dio così carnalmente vicino». Una sintesi impressionante in risposta alla domanda provocatoria se si sia mai arrabbiata con Dio per ciò che ha permesso.

Al confino è lei l’abitante con la più fitta corrispondenza del villaggio siberiano: riceve aiuti e li redistribuisce tra i detenuti dei gulag. Quando può rientrare in Lituania, nonostante la minaccia di internamento in ospedale psichiatrico, riprende la collaborazione con la rivista: «Giovanni Paolo II era da poco diventato Papa: per noi era una luce di speranza». Camuffata con parrucca e occhiali, Nijolė si occupa della diffusione: «In autostop portavo a Mosca i microfilm, nascosti nel dentifricio. Li lasciavo a persone fidate – cattolici ma anche ortodossi e battisti – che li facevano avere all’ambasciata americana: con la posta diplomatica li trasmettevano ai Francescani negli Usa, che a loro volta li traducevano per diffonderli sia in Lituania via radio, sia nel resto del mondo».

Con la fine dell’Urss torna anche in Lituania la libertà religiosa. Ancora oggi Nijolė ha rapporti con i suoi persecutori. Le ultime parole sono per loro: «Li ho perdonati, come Giovanni Paolo ci ha insegnato con Ali Agca. Dobbiamo avere pietà per chi sbaglia: lottiamo contro tante malattie, in questo caso vanno aiutati a vincere la malattia spirituale».

DA SAPERE IL BOLLETTINO CATTOLICO

Cronaca della Chiesa cattolica in Lituania nasce nel 1972 sul modello del bollettino dattiloscritto Cronaca degli avvenimenti correnti, che esce per la prima volta a Mosca il 30 aprile 1968 per spezzare il monopolio informativo del regime. La prima redattrice è la poetessa Natal’ja Gorbanevskaja, che si offre di lavorarci perché in maternità («Avevo del tempo libero», dirà poi con disarmante semplicità). Nel dicembre 1969, quando il Kgb riesce a risalire fino a lei, passa dal congedo di maternità all’ospedale psichiatrico, ma qualcuno raccoglie il testimone e la Cronaca continua a uscire fino al 1983.

 
 
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