È dedicato agli «operatori di pace», definiti «beati» con la medesima espressione di Gesù nel Vangelo (Matteo 5,9), il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace, che si svolgerà come di consueto il prossimo 1° gennaio. «I nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo», afferma il Pontefice in apertura della sua riflessione, sottolineando che «le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace».
Nelle parole delle Beatitudini, sintetizza papa Ratzinger, la pace viene indicata come «dono messianico e opera umana a un tempo», in quanto «presuppone un umanesimo aperto alla trascendenza» ed è «frutto del dono reciproco, di un mutuo arricchimento, grazie al dono che scaturisce da Dio e permette di vivere con gli altri e per gli altri». In sostanza, «l’etica della pace è etica della comunione e della condivisione». Perciò pre-condizione della pace, dice Benedetto XVI con parole forti, «è lo smantellamento della dittatura del relativismo e dell’assunto di una morale totalmente autonoma, che preclude il riconoscimento dell’imprescindibile legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo».
Ricordando l’enciclica Pacem in terris del beato Giovanni XXIII, di cui fra pochi mesi ricorrerà il cinquantesimo anniversario, «la realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana», in quanto essa si struttura «mediante relazioni interpersonali e istituzioni sorrette ed animate da un “noi” comunitario, implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove si riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i reciproci diritti e i vicendevoli doveri».
«La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile», è la certezza espressa dal Papa. Ne deriva che «ogni persona e ogni comunità – religiosa, civile, educativa e culturale – è chiamata ad operare la pace», in quanto essa «è principalmente realizzazione del bene comune delle varie società, primarie e intermedie, nazionali, internazionali e in quella mondiale. Proprio per questo si può ritenere che le vie di attuazione del bene comune siano anche le vie da percorrere per ottenere la pace».
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Una chiara denuncia è infatti espressa dal Pontefice a riguardo del convincimento che le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia stanno cercando di insinuare nell’opinione pubblica: quello che «la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali». Al contrario, obietta papa Ratzinger, «questi diritti e doveri sono fondamentali per la piena realizzazione di altri, a cominciare da quelli civili e politici». In particolare suscita preoccupazione in Benedetto XVI la constatazione che «tra i diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è il diritto al lavoro». Ciò è dovuto al fatto che «sempre più il lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente valorizzati, perché lo sviluppo economico dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei mercati. Il lavoro viene considerato così una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari». Invece, ribadisce il Papa, «la dignità dell’uomo, nonché le ragioni economiche, sociali e politiche, esigono che si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti». E, in vista della realizzazione di questo ambizioso obiettivo, è necessaria «una rinnovata considerazione del lavoro, basata su princìpi etici e valori spirituali, che ne irrobustisca la concezione come bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società». Per costruire più globalmente il bene della pace, occorre comunque «un nuovo modello di sviluppo, come anche un nuovo sguardo sull’economia». I molteplici beni funzionali allo sviluppo e le opportunità di scelta «devono essere usati secondo la prospettiva di una vita buona, di una condotta retta che riconosca il primato della dimensione spirituale e l’appello alla realizzazione del bene comune. In caso contrario, essi perdono la loro giusta valenza, finendo per assurgere a nuovi idoli». La ricetta di Benedetto XVI per uscire dall’attuale crisi finanziaria ed economica ha un preciso orizzonte. Superando il modello economico degli ultimi decenni, che «postulava la ricerca della massimizzazione del profitto e del consumo, in un’ottica individualistica ed egoistica», mira piuttosto a riscoprire che «il vero e duraturo successo lo si ottiene con il dono di sé, delle proprie capacità intellettuali, della propria intraprendenza, poiché lo sviluppo economico vivibile, cioè autenticamente umano, ha bisogno del principio di gratuità». In sostanza, «sono necessarie persone, gruppi, istituzioni che promuovano la vita favorendo la creatività umana per trarre, perfino dalla crisi, un’occasione di discernimento e di un nuovo modello economico».
Il rispetto per la vita umana, «considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla fine naturale» è ancora una volta sollecitato a gran voce da Benedetto XVI, che lo considera un’essenziale via di realizzazione del bene comune e della pace. A scanso di equivoci, il Pontefice chiarisce che i princìpi da lui sottolineati «non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del diritto alla libertà religiosa», bensì «sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi comuni a tutta l’umanità».
Dunque «l’azione della Chiesa nel promuoverli non ha carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace». L’elenco proposto da papa Ratzinger è lungo, poiché «chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita». Riferendosi all’aborto, viene ribadito che «la fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente».
Ugualmente, a proposito dell’eutanasia, non è giusto «codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue minacciano il diritto fondamentale alla vita». E, per quanto riguarda il matrimonio, va riconosciuta e promossa la struttura naturale «dell’unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale».