Non si deve educare in base al censo, assicurando tutte le opportunità possibili ai ricchi e tagliando fuori i poveri. Non bisogna accettare la logica dei muri. Le scuole cattoliche, infine, non devono fare proselitismo. L'ha detto papa Francesco ricevendo in udienza quanti hanno partecipato al congresso mondiale promosso dalla Congregazione per
l'educazione cattolica. Rispondendo a braccio
ad alcune domande, il Pontefice ha sottolineato che gli insegnanti sono
tra gli operai più malpagati, ma svolgono un ruolo straordinario per la
promozione dell’umanità.
Dall’Africa alla Terra Santa, dall’India al rione Sanità a Napoli.
Sono state molte e toccanti le testimonianze offerte a Jorge Mario Bergoglio,
testimoninza visibile di quanto la Chiesa in ogni angolo del mondo cerchi di promuovere
la dignità umana, il dialogo, la cultura attraverso le sue istituzioni
educative. Un’udienza calorosa, intervallata anche da canti e interventi
in lingue diverse, a testimonianza dell’universalità della Chiesa anche
nel campo dell’educazione. La prima domanda a Francesco è stata proprio sul tema dell’impegno
della Chiesa in contesti plurali, difficili, dove i cattolici sono
minoranza. «Non si può parlare di educazione cattolica senza parlare di umanità – ha detto il Papa – perché precisamente l’identità cattolica è Dio che si è fatto uomo. Educare cristianamente non è soltanto fare una catechesi: questa è
una parte. Non è soltanto fare proselitismo: mai fate proselitismo nelle
scuole, eh! Mai! Educare cristianamente è portare avanti i giovani, i
bambini nei valori umani in tutta la realtà e una di quelle realtà è la
trascendenza».
Oggi, ha proseguito, c’è la tendenza ad «un neopositivismo, cioè educare
nelle cose immanenti, al valore delle cose immanenti, e questo sia nei
Paesi di tradizione cristiana sia nei Paesi» di altra tradizione. «Manca
la trascendenza», è stato il rammarico del Papa: «Per me, la crisi più grande dell’educazione, per farla cristiana, è
questa chiusura alla trascendenza. Siamo chiusi alla trascendenza.
Preparare i cuori perché il Signore si manifesti: ma nella totalità.
Cioè, nella totalità dell’umanità che ha anche questa dimensione di
trascendenza. Educare umanamente ma con orizzonti aperti. Ogni sorta di
chiusura non serve, per l’educazione».
Francesco ha, quindi, risposto su una domanda sul vincolo tra scuola e
famiglia. Il Papa ha sottolineato che «anche l’educazione è diventata
troppo selettiva ed elitista» ed ha ammonito che sembra che abbiano
diritto all’educazione solo alcuni popoli che hanno un certo livello
economico: «E’ una realtà che ci porta verso una selettività umana e che invece
di avvicinare i popoli, li allontana; anche, allontana i ricchi dai
poveri, che allontana questa cultura da un’altra. Ma questo anche accade
nel piccolo: il patto educativo tra la famiglia e la scuola, è rotto!
Si deve ricominciare. Anche il patto educativo tra la famiglia e lo Stato” è “rotto”, ha
soggiunto, ed ha affermato che tra “gli operai più malpagati ci sono gli
educatori”. E questo, ha detto, “vuol dire che lo Stato non ha
interesse: semplicemente. Se l’avesse, le cose non andrebbero così”.
Ecco perché, ha ripreso, «qui viene il nostro lavoro, di cercare strade
nuove».
Ha così rammentato don Bosco che in un tempo dominato dalla
massoneria, ha cercato «un’educazione di emergenza»:
“E oggi ci vuole educazione di emergenza, bisogna rischiare sull’educazione informale,
perché l’educazione formale si è impoverita perché è l’eredità del
positivismo. Soltanto, concepisce un tecnicismo intellettualista e il
linguaggio della testa. E per questo, si è impoverita. Bisogna rompere
questo schema”.
L’insegnamento sia sempre inclusivo, non lasciare nessuno fuori
“Bisogna aprirsi a nuovi orizzonti – ha ripreso – fare nuovi modelli”.
Ci sono tre linguaggi, ha indicato, “il linguaggio della testa, il
linguaggio del cuore, il linguaggio delle mani. L’educazione deve andare
per queste tre strade”:
“Insegnare a pensare, aiutare a sentire bene e accompagnare nel fare,
cioè che i tre linguaggi siano in armonia; che il bambino, il ragazzo
pensi quello che sente e che fa, senta quello che pensa e che fa, e
faccia quello che pensa e sente. E così, un’educazione diviene inclusiva
perché tutti hanno un posto; anche, inclusiva umanamente. Il patto
educativo è stato rotto per il fenomeno dell’esclusione. Noi troviamo i
migliori, i più selettivi, siano i più intelligenti, siano quelli che
hanno più soldi per pagare la scuola o l’università migliore, e lasciamo
da parte gli altri”.
E il mondo, ha ammonito, “non può andare avanti con un’educazione
‘selettiva’, perché non c’è un patto sociale che accomuni tutti”.
Questa, ha soggiunto, “è una sfida: cercare strade di educazione
informale”, non bisogna “cadere soltanto in un insegnamento di
concetti”.
La vera scuola, ha esortato, “deve insegnare concetti,
abitudini e valori; e quando una scuola non è capace di fare questo
insieme, questa scuola è selettiva ed esclusiva e per pochi”. Ed ha
messo in guardia dal selezionare dei “super-uomini” ma solo “con il
criterio dell’interesse”. Dietro a questo, ha detto, “sempre c’è il
fantasma dei soldi: sempre!” e questi “rovinano la vera umanità”.
Ancora, ha ribadito che “il dramma della chiusura incomincia nelle
radici della rigidità” e che un genitore deve sempre “rischiare”
nell’educazione di un figlio, “maestro di rischio ragionevole per andare
avanti”.
Andare nelle periferie, far crescere i giovani in umanità
Il Papa ha infine risposto ad una domanda su come si possa essere
educatori di pace in un tempo contrassegnato da quella che Francesco
stesso ha definito “guerra mondiale a pezzi”. Il Pontefice ha
innanzitutto affermato che la prima sfida è lasciare i “posti dove ci
sono tanti educatori” e andare “alle periferie”, perché lì i giovani
hanno “l’esperienza della sopravvivenza”, “hanno una umanità ferita”.
E
proprio da queste ferite deve partire il lavoro dell’educatore:
“Non si tratta di andare là per fare beneficienza, per insegnare a
leggere, per dare da mangiare: no. Questo è necessario, ma è
provvisorio. E’ il primo passo. Il problema – e quella è la sfida, e io
vi incoraggio – è andare là per farli crescere in umanità, in
intelligenza, in valori, in abitudini perché possano andare avanti e
portare agli altri esperienze che non conoscono”.
Erigere muri è il più grande fallimento di un educatore
Il Papa ha così incoraggiato gli educatori ad andare avanti in questa
sfida per vincere la “selettività”, l’“esclusione”, l’“eredità di un
positivismo selettivo”. Andare in periferia, ha ribadito, non per fare
beneficenza, ma per portare educazione proprio come faceva Don Bosco.
Quindi, si è soffermato sull’educazione di pace in un tempo di guerra,
ravvisando che la prima tentazione in questo momento è quella di erigere
muri:
“I muri. Difendersi, i muri. Il fallimento più grande che può avere
un educatore, è educare “entro i muri”. Educare dentro ai muri: muri di
una cultura selettiva, muri di una cultura di sicurezza, i muri di un
settore sociale che è benestante e non può andare più”.