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mercoledì 06 novembre 2024
 
Il Papa
 

«No a un'educazione elitaria, che separi i ricchi dai poveri»

21/11/2015  Lo ha detto Francesco ricevendo in udienza i partecipanti al congresso mondiale organizzato dalla Congregazione per l'educazione cattolica. «Voglio pubblicamente ringraziare tutte le religiose e tutti i religiosi che non mai hanno dimenticato le periferie delle strade». L'esempio di don Bosco.

Non si deve educare in base al censo, assicurando tutte le opportunità possibili ai ricchi e tagliando fuori i poveri. Non bisogna accettare la logica dei muri. Le scuole cattoliche, infine, non devono fare proselitismo. L'ha detto papa Francesco ricevendo in udienza quanti hanno partecipato al congresso mondiale promosso dalla Congregazione per l'educazione cattolica. Rispondendo a braccio ad alcune domande, il Pontefice ha sottolineato che gli insegnanti sono tra gli operai più malpagati, ma svolgono un ruolo straordinario per la promozione dell’umanità.

Dall’Africa alla Terra Santa, dall’India al rione Sanità a Napoli. Sono state molte e toccanti le testimonianze offerte a Jorge Mario Bergoglio, testimoninza visibile di quanto la Chiesa in ogni angolo del mondo cerchi di promuovere la dignità umana, il dialogo, la cultura attraverso le sue istituzioni educative. Un’udienza calorosa, intervallata anche da canti e interventi in lingue diverse, a testimonianza dell’universalità della Chiesa anche nel campo dell’educazione. La prima domanda a Francesco è stata proprio sul tema dell’impegno della Chiesa in contesti plurali, difficili, dove i cattolici sono minoranza. «Non si può parlare di educazione cattolica senza parlare di umanità – ha detto il Papa – perché precisamente l’identità cattolica è Dio che si è fatto uomo. Educare cristianamente non è soltanto fare una catechesi: questa è una parte. Non è soltanto fare proselitismo: mai fate proselitismo nelle scuole, eh! Mai! Educare cristianamente è portare avanti i giovani, i bambini nei valori umani in tutta la realtà e una di quelle realtà è la trascendenza».

Oggi, ha proseguito, c’è la tendenza ad «un neopositivismo, cioè educare nelle cose immanenti, al valore delle cose immanenti, e questo sia nei Paesi di tradizione cristiana sia nei Paesi» di altra tradizione. «Manca la trascendenza», è stato il rammarico del Papa: «Per me, la crisi più grande dell’educazione, per farla cristiana, è questa chiusura alla trascendenza. Siamo chiusi alla trascendenza. Preparare i cuori perché il Signore si manifesti: ma nella totalità. Cioè, nella totalità dell’umanità che ha anche questa dimensione di trascendenza. Educare umanamente ma con orizzonti aperti. Ogni sorta di chiusura non serve, per l’educazione».

Francesco ha, quindi, risposto su una domanda sul vincolo tra scuola e famiglia.
Il Papa ha sottolineato che «anche l’educazione è diventata troppo selettiva ed elitista» ed ha ammonito che sembra che abbiano diritto all’educazione solo alcuni popoli che hanno un certo livello economico: «E’ una realtà che ci porta verso una selettività umana e che invece di avvicinare i popoli, li allontana; anche, allontana i ricchi dai poveri, che allontana questa cultura da un’altra. Ma questo anche accade nel piccolo: il patto educativo tra la famiglia e la scuola, è rotto! Si deve ricominciare. Anche il patto educativo tra la famiglia e lo Stato” è “rotto”, ha soggiunto, ed ha affermato che tra “gli operai più malpagati ci sono gli educatori”. E questo, ha detto, “vuol dire che lo Stato non ha interesse: semplicemente. Se l’avesse, le cose non andrebbero così”. Ecco perché, ha ripreso, «qui viene il nostro lavoro, di cercare strade nuove».

Ha così rammentato don Bosco che in un tempo dominato dalla massoneria, ha cercato «un’educazione di emergenza»: “E oggi ci vuole educazione di emergenza, bisogna rischiare sull’educazione informale, perché l’educazione formale si è impoverita perché è l’eredità del positivismo. Soltanto, concepisce un tecnicismo intellettualista e il linguaggio della testa. E per questo, si è impoverita. Bisogna rompere questo schema”. L’insegnamento sia sempre inclusivo, non lasciare nessuno fuori “Bisogna aprirsi a nuovi orizzonti – ha ripreso – fare nuovi modelli”. Ci sono tre linguaggi, ha indicato, “il linguaggio della testa, il linguaggio del cuore, il linguaggio delle mani. L’educazione deve andare per queste tre strade”: “Insegnare a pensare, aiutare a sentire bene e accompagnare nel fare, cioè che i tre linguaggi siano in armonia; che il bambino, il ragazzo pensi quello che sente e che fa, senta quello che pensa e che fa, e faccia quello che pensa e sente. E così, un’educazione diviene inclusiva perché tutti hanno un posto; anche, inclusiva umanamente. Il patto educativo è stato rotto per il fenomeno dell’esclusione. Noi troviamo i migliori, i più selettivi, siano i più intelligenti, siano quelli che hanno più soldi per pagare la scuola o l’università migliore, e lasciamo da parte gli altri”. E il mondo, ha ammonito, “non può andare avanti con un’educazione ‘selettiva’, perché non c’è un patto sociale che accomuni tutti”. Questa, ha soggiunto, “è una sfida: cercare strade di educazione informale”, non bisogna “cadere soltanto in un insegnamento di concetti”.

La vera scuola, ha esortato, “deve insegnare concetti, abitudini e valori; e quando una scuola non è capace di fare questo insieme, questa scuola è selettiva ed esclusiva e per pochi”. Ed ha messo in guardia dal selezionare dei “super-uomini” ma solo “con il criterio dell’interesse”. Dietro a questo, ha detto, “sempre c’è il fantasma dei soldi: sempre!” e questi “rovinano la vera umanità”. Ancora, ha ribadito che “il dramma della chiusura incomincia nelle radici della rigidità” e che un genitore deve sempre “rischiare” nell’educazione di un figlio, “maestro di rischio ragionevole per andare avanti”. Andare nelle periferie, far crescere i giovani in umanità Il Papa ha infine risposto ad una domanda su come si possa essere educatori di pace in un tempo contrassegnato da quella che Francesco stesso ha definito “guerra mondiale a pezzi”. Il Pontefice ha innanzitutto affermato che la prima sfida è lasciare i “posti dove ci sono tanti educatori” e andare “alle periferie”, perché lì i giovani hanno “l’esperienza della sopravvivenza”, “hanno una umanità ferita”.

E proprio da queste ferite deve partire il lavoro dell’educatore: “Non si tratta di andare là per fare beneficienza, per insegnare a leggere, per dare da mangiare: no. Questo è necessario, ma è provvisorio. E’ il primo passo. Il problema – e quella è la sfida, e io vi incoraggio – è andare là per farli crescere in umanità, in intelligenza, in valori, in abitudini perché possano andare avanti e portare agli altri esperienze che non conoscono”. Erigere muri è il più grande fallimento di un educatore Il Papa ha così incoraggiato gli educatori ad andare avanti in questa sfida per vincere la “selettività”, l’“esclusione”, l’“eredità di un positivismo selettivo”. Andare in periferia, ha ribadito, non per fare beneficenza, ma per portare educazione proprio come faceva Don Bosco. Quindi, si è soffermato sull’educazione di pace in un tempo di guerra, ravvisando che la prima tentazione in questo momento è quella di erigere muri: “I muri. Difendersi, i muri. Il fallimento più grande che può avere un educatore, è educare “entro i muri”. Educare dentro ai muri: muri di una cultura selettiva, muri di una cultura di sicurezza, i muri di un settore sociale che è benestante e non può andare più”.

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