Il padre non nega il perdono al figlio che lo chiede con lacrime e disperazione. Papa Francesco parla al clero e ai consacrati e consacrate offrendo l’esempio di padre Puglisi da seguire nella loro vita. In cattedrale, dopo aver pregato davanti alla salma del prete di Brancaccio, consegna tre verbi: celebrare, accompagnare e testimoniare. Consegna soprattutto l’invito a non essere uomini e donne di divisione, clericali, carrieristi, mondani. La gente, spiega a braccio papa Francesco, perdona il prete che sbaglia e si pente, ma non perdona lo spirito mondano.
Bisogna essere invece uomini e donne capaci di fare della propria vita un dono e capaci anche di perdonare. «Il sacerdote è l’uomo del perdono», dice il Papa, «e analogamente le religiose sono donne del perdono. Ma quante volte nelle comunità religiose non c’è il perdono, c’è il chiacchiericcio, ci sono le gelosie. No, uomo del perdono il sacerdote, ma tutti i consacrati devono essere uomini e donne del perdono. Il prete non porta rancori, non fa pesare quel che non ha ricevuto, non rende male per male. Il sacerdote è portatore della pace di Gesù: benevolo, misericordioso, capace di perdonare gli altri come Dio li perdona per mezzo suo. Porta concordia dove c’è divisione, armonia dove c’è litigio, serenità dove è animosità, ma se questo è un chiacchierone, invece che concordia porterà divisione, porterà tante cose che faranno il clero diviso tra loro e con il vescovo». Il prete, invece «è un ministro di riconciliazione a tempo pieno: amministra “il perdono e la pace” non solo in confessionale». E la confessione, dice ancora il Papa, non si deve trasformare né in una seduta psichiatrica e neppure in un moneto di investigazione. «È tanto brutto quando nella confessione il sacerdote comincia a scavare nell’animo dell’altro questo ammala», invece invita i sacerdoti a «ricevere i penitenti con misericordia senza scavare l’anima. Quale padre non dà il perdono al figlio che lo chiede con lacrime e disperazione.
Poi una volta perdonato gli si consiglierà di fare questo e questo. Ma non scava», ribadisce ricordando che il padre perdona il figliol prodigo senza neanche farlo parlare. «Questo è tanto importante per guarire la nostra Chiesa tanto ferita».
E «la palestra dove allenarsi a essere uomini del perdono è il seminario prima e il presbiterio poi. Per i consacrati è la comunità. Tutti sappiamo che non è facile perdonarci, si pensa: me l’hai fatta e me la pagherai, ma non nella mafia, anche nel nostro presbiterio. E invece è lì che va alimentato il desiderio di unire, secondo Dio; non di dividere, mettetevi questo nella testa, non di dividere secondo il diavolo. Dove c’è la divisione c’è il diavolo, il grande accusatore, accusa per dividere. Lì vanno accettati i fratelli e le sorelle, lì il Signore chiama ogni giorno a lavorare per superare le divergenze. E questo è parte costitutiva dell’essere preti e consacrati. Non è un accidente, appartiene alla sostanza. Mettere zizzania, provocare divisioni, sparlare, chiacchierare non sono “peccatucci che tutti fanno”, no è negare la nostra identità di sacerdoti, uomini del perdono, e di consacrati, uomini di comunione».
Il Papa ricorda un suo amico vescovo che, parlando delle divisioni nei presbiteri e nelle comunità religiose diceva della necessità di battezzare tutti di nuovo «per farli cristiani, perché si comportano da pagani».
E ai sacerdoti ricorda di accompagnare le comunità, anche nella religiosità popolare. «Vi chiedo di vigilare attentamente», dice Francesco, «affinché la religiosità popolare non venga strumentalizzata dalla presenza mafiosa, perché allora, anziché essere mezzo di affettuosa adorazione, diventa veicolo di corrotta ostentazione. L’abbiamo visto nei giornali quando la madonna si ferma e fa l’inchino davanti alla casa del capomafia, no, quello non va. Sulla pietà popolare avete cura, aiutate, fate presente. Un vescovo italiano mi ha detto questo- la pietà popolare è il sistema immunitario della Chiesa. Quando la chiesa incomincia a farsi troppo ideologica o troppo pelagiana, la pietà popolare la corregge, porta tutta questa difesa».
E poi si rivolge alle religiose: «la vostra missione è grande, perché la Chiesa è madre e il suo modo di accompagnare sempre deve sempre avere un tratto materno. Voi religiose pensate che voi siete icona della Chiesa, la Chiesa è donna, voi siete icone della Madonna, madre della Chiesa. Allora è importante che siate coinvolte nella pastorale per rivelare il volto della Chiesa madre.» e ringrazia «le contemplative che, con la preghiera e col dono totale della vita, sono il cuore della Chiesa madre e pulsano nel Corpo di Cristo l’amore che tutto collega».
Infine parla della testimonianza «che ci riguarda tutti e in particolare vale per la vita religiosa, che è di per sé testimonianza e profezia del Signore nel mondo. Nell’appartamento dove viveva Padre Pino risalta una semplicità genuina. È il segno eloquente di una vita consacrata al Signore, che non cerca consolazioni e gloria dal mondo. La gente cerca questo nel prete e nei consacrati. Vuole pastori, non funzionari». E conclude: «Si possono fare tante discussioni sul rapporto Chiesa-mondo e Vangelo-storia, ma non serve se il Vangelo non passa prima dalla propria vita. E il Vangelo ci chiede, oggi più che mai, questo: servire nella semplicità, nella testimonianza.. Questo significa essere ministri: non svolgere delle funzioni, ma servire lieti, senza dipendere dalle cose che passano e senza legarsi ai poteri del mondo».