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Non c’è giustizia senza Vita. È un grande messaggio per il nostro mondo in un tempo difficile, segnato dalla guerra e da nuove divisioni nel mondo, quello che ci vede qui riuniti, rappresentanti di tanti paesi soprattutto del Sud del mondo: Non c’è giustizia senza vita. Questo obiettivo diventa ancora più forte perché contiene la capacità degli stati di ridurre la violenza nelle comunità e nelle società. Per questo questa Conferenza internazionale dei ministri della giustizia è ancora più importante in questo tempo.
In Italia. Dove nel 1786 il Granducato di Toscana abolì per la prima volta in Occidente la pena capitale, insieme alla tortura. A Roma, dove la Repubblica Romana, anche se per poco, abolì la pena di morte nel 1849. Nel Parlamento della Repubblica Italiana, che ha reso irreversibile il rifiuto del ricorso alla pena di morte nella sua Costituzione. Uno dei paesi fondatori dell’Unione Europea, che ha nella sua Carta fondativa il rifiuto dell’uso della pena capitale. Qui a Roma, a distanza di decenni dalla nascita delle Nazioni Unite, è stato approvato lo Statuto della Corte Penale Internazionale per i crimini contro l’umanità. E non contempla la pena capitale nemmeno per il crimine di genocidio. C’è un’idea semplice al suo interno: anche il crimine più grande non può essere punito come la morte. Il fondamento della legge, di ogni legge è sempre la difesa della vita. Le leggi esistono per questo. O negano sé stesse. Gli Stati non possono aumentare, con un’altra morte, le violazioni della vita che vogliono esemplarmente punire.
Ringrazio tutti gli eccellentissimi ministri, le autorità, i rappresentanti diplomatici e religiosi che sono qui e voglio, da questo Parlamento dire che siamo onorati di avervi qui, tutti e ciascuno. Qui non ci sono grandi paesi e paesi piccoli. Non ci sono paesi virtuosi e paesi meno virtuosi. Siamo uguali, stessa dignità, nella responsabilità di un sogno e di un programma da raggiungere, No Justice Without Life. Alcuni di noi hanno abolito, dopo lungo travaglio, la pena capitale. Altri non l’hanno ancora fatto. Ma siamo tutti uguali. Siamo semplicemente all’interno di un tempo diverso della storia e vogliamo mettere le nostre esperienze al servizio degli altri. Perché la storia va verso l’abolizione della pena capitale.
Dopo 4000 anni, dal Codice di Hammurabi, siamo a una curva, a un tornante della storia. Nessuna generazione lo ha sperimentato prima.
Nel 1976 erano solo 16 gli Stati del mondo, su 200, che avevano abolito la pena di morte. Nel 2022 sono stati 17 i Paesi del mondo che l’hanno usata. Un ribaltamento della storia in meno di 50 anni. Oggi sono 144 che non la usano più, abolita per legge o di fatto. E nel 2021 le esecuzioni praticate conosciute, sono state solo in 16 paesi del mondo. Negli ultimi 5 anni le esecuzioni registrate sono diminuite tre volte, da più di 1500 a meno di 500 o poco più di 500, 576 quelle conosciute nel 2021. Con un aumento, 637 esecuzioni registrate, fino al 30 settembre del 2022. Un segnale di aumento che indica come in un tempo di guerra la cultura sommaria della morte si rafforza sempre almeno un po’.
L’incontro di questi giorni vuole essere un aiuto a entrare, ciascuno nel proprio modo, secondo la propria storia e condizione, dentro la stessa storia. Ripeto non c’è paese grande o piccolo. All’ONU ogni voto ha lo stesso valore. Ognuno qui è decisivo per rafforzare ogni volta la Risoluzione per una Moratoria universale. Chi ha abolito la pena capitale si è trovato prima nelle stesse difficoltà di chi sta considerando come riformare il proprio sistema penale e giudiziario. Possiamo condividere difficoltà e soluzioni. Con franchezza. Vale per tutti.
Non c’è una tradizione culturale per la quale è naturale l’uso della pena di morte. L’Europa ha rinunciato alla pena capitale dopo essere stato il teatro delle più grandi atrocità della storia umana, la Guerra dei Cent’anni, la Guerra dei Trent’Anni, la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, il genocidio armeno e la strage dei cristiani d’Oriente, la Guerra greco-turca e la Grande Catastrofe, la Shoah. Il Giappone, che ancora la conserva, anche se la utilizza poco, per tre secoli aveva abolito la pena capitale quando tutti i paesi europei la utilizzavano ancora. Ed erano secoli in cui l’influenza cinese in Giappone, attraversa la dinastia regnante, era molto forte. Anche se oggi la Cina, è un grande paese che ancora conserva la pena capitale: accadeva al tempo del nostro Medioevo. Non c’è una cultura per cui la pena di morte è più “naturale”. Non c’è una tradizione religiosa che, pur contenendo nei Libri antichi la pena capitale, non contenga in maniera diffusa, più ampia, la difesa della vita in tutte le sue forme. C’è una evoluzione nei Libri Sacri che compongono la Bibbia, dalla vendetta e dalla punizione sproporzionata, “settanta volte sette” a quella proporzionata ed egualitaria, per l’offesa al povero e insignificante e al ricco e potente nello stesso modo, “occhio per occhio dente per dente”, a segno sulla fronte di Caino per proteggerne la vita anche dopo l’assassinio di suo fratello, al Libro di Giobbe in cui la vita è un soffio nelle mani di Dio e non dell’uomo, al perdono e alla riconciliazione indicati da Gesù, condannato a morte innocente, solidale con tutti i crocifissi.
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Non è ingenuo occuparci di pena di morte quando tante sono le violazioni della vita nelle guerre contemporanee? Non è ingenuo approvare all’ONU una Risoluzione non vincolante per una Moratoria Universale delle esecuzioni? No.
Perché da quando è stato fissato quello standard etico e politico dall’Assemblea generale dell’ONU nel 2007, dopo un lavoro di 14 anni dal primo tentativo, anche con un sgnificativo impegno della Comunità di Sant’Egidio, assieme all’Italia, all’Unione europea e ai rappresentanti illuminati dei cinque continenti, ogni esecuzione è più pesante, perché va contro il sentire di una grande parte del mondo. Perché nell’unico studio fatto sui paesi che hanno abolito la pena capitale e il tasso di omicidi e reati gravi, nel decennio successivo, solo in uno stato, la Georgia, c’è stato un lieve incremento, e in tutti gli altri dieci c’è stata una grande riduzione, immediata o progressiva, rispetto al decennio precedente l’abolizione: perché la società impara a usare meno violenza.
La pena capitale abbassa tutta la società al livello di chi uccide. Promette un’impossibile guarigione dal dolore per i familiari delle vittime e invece ne crea di nuove. È una morte, innaturale, scientificamente organizzata, e contiene, per questa premeditazione, una tortura mentale in sé stessa, ancor prima di quella fisica. È la legittimazione al livello più alto di una cultura di morte, mentre si spaccia per difesa della vita. È uno strumento irreversibile per combattere minoranze sociali, religiose, etniche, politiche. Non ci sarebbero stati leader come Nelson Mandela se fosse stata applicata, forse neanche Gandhi.
Il mondo assaggia una nuova giustizia, più efficace, quando non usa più la pena capitale: che è sempre, un po’, una dichiarazione di fallimento dello stato.
Con i paesi che l’hanno ancora negli ordinamenti della Guinea Equatoriale e dello Zambia, nel 2022. In Africa, dal 2000, 14 paesi l’hanno abolita. Penso che meritino un applauso. E con i paesi che l’hanno ancora negli ordinamenti, ma non la usano più, sono oggi 144 i paesi del mondo abolizionisti dei 200 stati e territori che conosciamo. Siamo dentro una impressionante accelerazione della storia. In questo millennio, dal 2000, 45 stati hanno abolito la pena di morte, due ogni anno.
Sono anche venti anni che è nato il movimento mondiale delle Città per la vita promosso dalla Comunità di Sant’Egidio: eravamo 58 città all’inizio, unite a con noi a Roma, attorno al Colosseo. Oggi, più di 2400. Un movimento che apre la mente e il dibattito sulla pena capitale anche dove c’è più ombra e rilancia il protagonismo della società civile e delle città anche in paesi mantenitori.
Papa Francesco ha sintetizzato le molte ragioni, universali, che sono alla radice di questo impegno per aiutare il mondo a rinunciare a questa pratica antica, che sembrava normale ma che normale non è, come la schiavitù e la tortura.
“La pena di morte è sempre inaccettabile perché mina la dignità inviolabile della persona umana”.
Mi è gradito in questa sede ricordare alcuni percorsi di abolizione come esemplari, come quella in Burkina Faso, nel 2018, voluta fortemente da Bessole Rene’ Bagoro, al tempo ministro della giustizia: un percorso cresciuto e accompagnato proprio dall’iniziativa delle conferenze internazionali dei ministri della giustizia di Roma: questo incontro è una incubatrice di scambio di buone pratiche tra paesi mantenitori e abolizionisti, come era accaduto in precedenza per la Mongolia e altri paesi, o adesso per la Repubblica centrafricana la Guinea, altri.
Ma non ci sono casi in cui la pena di morte è non solo giusta, ma necessaria? Penso che non c’è mai una pena giusta se non offre la possibilità di cambiare. Se si guarda nel mondo la curva delle esecuzioni e quella dei crimini gravi non sono parenti, hanno vite indipendenti.
Non esiste il sistema giudiziario infallibile. In un paese orgoglioso del proprio sistema giudiziario, reso famoso anche dal cinema, come gli Stati Uniti, che ha a disposizione molte risorse, l’Innocence Project ha dimostrato come almeno in un caso su 15 la persona condannata è completamente innocente. Condannati a morte, sulla base di confessioni e testimoni oculari nell’80 per cento dei casi, quando tutti noi diremmo che non c’è nessun possibile dubbio di colpevolezza,
Cifre che parlano da sole. Ma è ancora impressionante come almeno uno su 15 di tutti i casi affrontati da Innocence Project negli Stati Uniti, uno sia completamente innocente. Altri calcoli portano a valutare un errore giudiziario grave e irrimediabile, in sistemi giudiziari sofisticati, ogni 9 casi.
Adesso negli Stati Uniti gli stati mantenitori sono diventati 24 e 23 sono quelli usciti dalla pena capitale. Nel 2021 la Virginia e nel 2020 il Colorado sono diventati abolizionisti. E in California, Oregon e Pennsylvania dai Governatori sono state dichiarate tre moratorie di tutte le esecuzioni. C’è una parentela tra la geografia della violenza e la pena di morte. Negli USA la mappa dei luoghi e degli stati dei linciaggi contro le minoranze, e quella della pena di morte tende ad essere la stessa, un secolo dopo. E i bracci della morte contengono la pena aggiuntiva di una tortura mentale non scritta, quella di una morte che arriva in maniera innaturale e può arrivare ogni giorno, prima di morire davvero.
Nel mondo, in carcere, condannati, si calcolano almeno 8 milioni 600mila detenuti. Quasi la metà negli Stati Uniti, Cina e Russia. 32 mila di questi sono condannati a morte. In Asia vivono un terzo dei condannati a morte del mondo. Umanizzare le carceri, che è un’azione molto cara alla Comunità di Sant’Egidio nel mondo, non va contro la giustizia. Aiuta a iniziare una nuova vita. Riduce la violenza, dentro e fuori il carcere. È un’altra battaglia che può diventare comune. Occorre un approccio olistico. Lavorare per umanizzare le carceri, per rendere umana la condizione degli anziani a volte reclusi come prigionieri negli istituti, lontani da tutto, soprattutto in iccidente. Umanizzare la condizione della vita delle persone nelle zone di guerra, ma anche accompagnare, come Sant’Egidio cerca di fare e alcuni di voi qui lo sanno bene, con intelligenza i percorsi di uscita dalle guerre civili, dall’odio etnico e religioso, la riconciliazione, assieme a politiche per i diritti fondamentali, alla scuola, all’acqua e al cibo, all’accesso alle cure in paesi che non hanno le disponibilità economiche e le infrastrutture sanitarie dell’Europa o del Nord del mondo, come per il diritto alle terapie, ai vaccini, a alle terapie. Per noi la battaglia per l’abolizione della pena di morte è parte di tutto questo. E’ la stessa cultura della vita.
Penso che bisogna riflettere sull’incompatibilità di pena di morte e democrazia. Perché la democrazia si fonda sulla possibilità di errore, sulla capacità di cambiare tornare a governare dopo una sconfitta, magari dopo politiche sbagliate. Politiche sbagliate possono causare anche molte più vittime della violenza individuale. L’irreversibilità dell’errore è incompatibile con la democrazia, perché contiene il rischio dell’annientamento e dell’azzeramento dell’altro.
Vorrei concludere. Dobbiamo avere insieme il coraggio di rispondere alla domanda semplice del bambino che chiede: “Ma se quando uno uccide un altro lo dobbiamo ammazzare, chi deve uccidere quello che uccide, l’assassino?”.
La risposta, con la pena capitale, non c’è. Invece la risposta c’è, è a portata di mano, sta nelle vostre, nelle nostre mani.