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lunedì 05 giugno 2023
 
Mediterraneo
 

No alla guerra, sì a una Libia unita

02/03/2016  Il processo di creazione di un Governo libico è stato lentissimo. Ma è la direzione giusta

Guerra alle porte per l’Italia in Libia? Alcuni lo auspicano per battere l’Isis e stabilizzare il Paese. Altri se lo aspettano. Noi lo temiamo, anche se siamo preoccupati per le infiltrazioni dell’Isis e per la frammentazione delle forze libiche. Ci ricordiamo dell’intervento italiano in Libia nel 2011, a seguito di Francia e Gran Bretagna. Bisognerebbe fare una seria autocritica per quell’azione avvenuta senza progetti sul futuro del Paese, con quelle decisioni internazionali a catena, in cui si è trascinati dalla logica «si deve essere presenti sul terreno, quando ci sono i nostri alleati» e «bisogna tutelare i nostri interessi» e via dicendo. In cinque anni la Libia si è frantumata. Ci si augura che il nuovo Governo riesca a innescare un processo di ricomposizione. Su questo bisogna continuare a lavorare.
Alcuni ritengono che la Libia non si ricomporrà più e sarà necessario riconoscerne la divisione in tre aree: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Possibile. Si ritornerebbe a una situazione simile a prima della conquista italiana nel 1911: ci vollero 100 mila soldati per battere i turchi e i libici: la conquista si fermò alla Tripolitania e alla zona costiera. Solo nel 1931 si completò l’occupazione italiana –con molta violenza – e quindi l’unificazione. La Libia unita è durata 80 anni: ora è un Paese diviso, ma che ancora aspira all’unità.
Oggi l’infiltrazione dell’Isis è invocata per motivare l’impegno militare italiano. Ci ricordiamo tutti della terribile esecuzione dei 21 cristiani copti d’Egitto: un messaggio agli europei con la minaccia anche di conquistare Roma. Certo, la Libia è vicina all’Italia. Si dice: avremo l’Isis sotto casa e non possiamo restare inerti. Non è detto però che la strada per colpire l’Italia sia la Libia. Speriamo non succeda mai. La presenza dell’Isis è un fatto inquietante e forse sarà all’origine di azioni mirate. Si deve però stare attenti a ogni forma di guerra, che darebbe all’Isis uno statuto simmetrico ai nostri Paesi e che soprattutto gli varrebbe consensi in Libia.
Finora l’Italia ha contribuito in modo determinante a far reggere l’embargo sulle armi pesanti in Libia. Il processo politico di creazione di un Governo libico, quanto più unitario, è stato di un’estenuante lentezza. È però la direzione giusta, cui non rinunciare. I libici debbono trovare una dimensione unitaria, con l’aiuto dell’Italia e degli altri Paesi. E sono loro a dover lottare per liberare il loro Paese dall’Isis e da altre presenze indesiderabili.

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