Guerra alle porte per l’Italia
in Libia? Alcuni lo auspicano
per battere l’Isis e stabilizzare
il Paese. Altri se lo
aspettano. Noi lo temiamo,
anche se siamo preoccupati
per le infiltrazioni dell’Isis e per la
frammentazione delle forze libiche.
Ci ricordiamo dell’intervento italiano
in Libia nel 2011, a seguito di Francia
e Gran Bretagna. Bisognerebbe fare
una seria autocritica per quell’azione
avvenuta senza progetti sul futuro del
Paese, con quelle decisioni internazionali
a catena, in cui si è trascinati dalla
logica «si deve essere presenti sul terreno,
quando ci sono i nostri alleati» e
«bisogna tutelare i nostri interessi» e
via dicendo. In cinque anni la Libia si
è frantumata. Ci si augura che il nuovo
Governo riesca a innescare un processo
di ricomposizione. Su questo bisogna
continuare a lavorare.
Alcuni ritengono che la Libia non
si ricomporrà più e sarà necessario
riconoscerne la divisione in tre aree:
Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Possibile.
Si ritornerebbe a una situazione
simile a prima della conquista italiana
nel 1911: ci vollero 100 mila soldati per
battere i turchi e i libici: la conquista si
fermò alla Tripolitania e alla zona costiera.
Solo nel 1931 si completò l’occupazione
italiana –con molta violenza
– e quindi l’unificazione. La Libia unita
è durata 80 anni: ora è un Paese diviso,
ma che ancora aspira all’unità.
Oggi l’infiltrazione dell’Isis è invocata
per motivare l’impegno militare
italiano. Ci ricordiamo tutti della terribile esecuzione dei 21 cristiani copti
d’Egitto: un messaggio agli europei con
la minaccia anche di conquistare Roma.
Certo, la Libia è vicina all’Italia. Si dice:
avremo l’Isis sotto casa e non possiamo
restare inerti. Non è detto però che
la strada per colpire l’Italia sia la Libia.
Speriamo non succeda mai. La presenza
dell’Isis è un fatto inquietante e
forse
sarà all’origine di azioni mirate. Si
deve però stare attenti a ogni forma di
guerra, che darebbe all’Isis uno statuto
simmetrico ai nostri Paesi e che soprattutto
gli varrebbe consensi in Libia.
Finora l’Italia ha contribuito in
modo determinante a far reggere
l’embargo sulle armi pesanti in Libia.
Il processo politico di creazione di un
Governo libico, quanto più unitario, è
stato di un’estenuante lentezza. È però
la direzione giusta, cui non rinunciare. I
libici debbono trovare una dimensione
unitaria, con l’aiuto dell’Italia e degli altri
Paesi. E sono loro a dover lottare per
liberare il loro Paese dall’Isis e da altre
presenze indesiderabili.