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sabato 05 ottobre 2024
 
 

No Tav, polemiche e manette

28/01/2012  Dopo i 26 arresti, il movimento che si oppone alla nuova linea ferroviaria moltiplica le proteste. Intanto Francia e Italia procedono col nuovo progetto low cost: 8,2 milioni di euro.

Dopo le tensioni dell’estate, il clima sociale e politico in Valle di Susa sembrava essersi “raffreddato”, aiutato dal sopraggiungere dei rigori dell'inverno alpino. Gli scontri del 27 giugno, ma soprattutto quelli di domenica 3 luglio, nei paraggi del cantiere Tav della Maddalena di Chiomonte parevano destinati agli archivi o, al massimo, a esere ricordati dai bilanci di fine anno redatti dai giornali. La valle era tornata alla vita di sempre, con qualche sporadica scaramuccia del movimento No Tav, con gli abitanti di Chiomonte per lo più indifferenti da una vicenda da cui paiono appena sfiorati (il cantiere è ad alcuni chilometri dall’abitato, sull’altro versante della valle).


Gli unici ad essere coinvolti, erano e sono gli agricoltori che coltivano le vigne dell’Avanà (pregiato vino della zona), costretti ad esibire il documento di identità ai poliziotti al passaggio, con i loro trattori, lungo la strada che porta proprio al cantiere. Tra questi anche il sindaco del paese, Renzo Pinard, schierato col centrodestra, che a suo tempo aveva promesso di dimettersi in caso di militarizzazione del territorio salvo poi ripensarci quando, a rinforzare la difesa del cantiere della Maddalena, sono arrivati gli Alpini della Taurinense, con tanto di tank e mezzi corazzati.


Stappato lo spumante di Capodanno, è però bastato attendere poco più di due settimane perché, in valle di Susa, si accendesse la miccia della protesta. A riscaldare animi e clima, i 26 arresti all’alba di giovedì 26 gennaio, in diverse città d’Italia: Torino, Asti, Milano, Trento, Palermo, Roma, Padova, Genova, Pistoia, Cremona, Macerata, Biella, Bergamo, Parma, Modena e anche in una località della Francia. Tra questi “soltanto” 3 valsusini: un consigliere comunale di Villar Focchiardo (Guido Fissore), un barbiere di Bussoleno (Mario Nucera), un leader del centro sociale di Askatasuna residente a Bussoleno (Giorgio Rossetto).


Fin dai primi minuti seguenti al blitz, giovedì, è partito il tam tam dei “movimentisti”: sms, social network, siti internet. Con un primo appuntamento proprio nel piccolo paese di Villar Focchiardo, davanti alla casa di Guido Fissore. Poi, nel pomeriggio del 26 gennaio, altro raduno in un piccolo centro, Vaie, dove diverse persone si sono ritrovate nel presidio No Tav battezzato “Picapera” (così vengono chiamati in dialetto piemontese, gli scalpellini). Di fronte a un nutrito gruppo di giornalisti e di militanti No Tav, non sono stati usati mezzi termini.Alberto Perino, uno dei leader della protesta ha parlato di “operazione di chiaro stampo fascista anche se a condurla è stato il Procuratore Gian Carlo Caselli. E mentre, in Italia, «Cosentino è libero, i No Tav vengono messi in galera. Ma» – ha concluso –la valle non si fa arrestare e giudicare». 



E proprio “La valle non si arresta” era lo striscione che, la sera di giovedì 26 gennaio, ha aperto il corteo di 4 mila persone che hanno marciato lungo le vie di Bussoleno, partendo dalla bottega di Mario Nucera, il barbiere arrestato. Tante fiaccole accese, slogan, e parole forti nei confronti del Governo e della Magistratura. Sabato 28 gennaio, altro appuntamento: la manifestazione No Tav, nel centro di Torino, per solidarizzare con gli arrestati. Partenza alle 14,30, da piazza Carlo Felice, di fronte alla stazione ferroviaria di Porta Nuova. Arrivo in piazza Castello. La tensione è alta così come il rischio di episodi di guerriglia urbana.


Lunedì 30 gennaio, invece,  a Roma il Ministro dei Trasporti della Francia e il viceministro italiano alle infrastrutture Mario Ciaccia, firmano il nuovo trattato internazionale per la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione. La firma segue l'accordo dello scorso 20 dicembre con il quale i due Paesi hanno deciso di dar vita a una società italo-francese per la direzione strategica e operativa della Tav e per la quale sono previsti 8,2 miliardi di euro d'investimenti.


Il fronte dei No Tav, infine, ha già annunciato per metà febbraio una manifestazione in Valle di Susa con la chiamata a raccolta, proclama Alberto Perino “di tutte le Resistenze” sparse in Italia. 

Bruno Andolfatto

Non è una faccenda solo italiana o della Valle di Susa

La Torino-Lione non è un problema solo italiano o locale. E’ un progetto prioritario dell’Unione Europea per rilanciare il treno dopo decenni di prevalenza del trasporto su gomma. E’ una scelta dei Governi e dei Parlamenti di Francia e Italia.  Le scelte vanno condivise con l’insieme delle istituzioni democraticamente elette (comunità locali comprese) in Italia, in Francia ed in Europa.

Il progetto

Il tracciato è quasi tutto in galleria profonda (circa l’88% della linea) tranne in due punti: a Susa, nella zona dell’attuale autoporto, dove sbuca il tunnel di base e sorge la nuova Stazione Internazionale per il turismo delle Valli Olimpiche, e ad Orbassano, sull’area dell’attuale scalo ferroviario, dove nasce la piattaforma logistica per le merci, integrata con l’interporto di Torino. Ad opera finita il territorio resterà sostanzialmente inalterato, con la ferrovia in profondità e senza percepibili effetti in superficie: la soluzione interrata permette di realizzare l’opera senza subirne l’invadenza fisica, esattamente come avviene in città con le metropolitane.

I No Tav sostengono che già una ferrovia in Valle di Susa c’è già e che la domanda di traffico non la giustificherebbe. L’attuale tunnel ferroviario del Frejus, sostengono i fautori dell’opera, risale al 1871 ed è il più vecchio d’Europa. Sono già stati ultimati i lavori di abbassamento dei binari per far passare container le cisterne; proprio questi lavori, per vari anni, hanno costretto a mantenere in esercizio un solo binario per volta, facendo ulteriormente calare i traffici che però, da gennaio di quest’anno, possono tornare gradualmente a crescere. Ma qualcosa di nuovo va fatto e, affermano i Sì Tav, se interveniamo adesso lo facciamo d’intesa con la Francia e con l’aiuto dell’Europa, ripartiamo i costi fra tutti e avremo i risultati fra una quindicina d’anni.

La nuova linea avrà inoltre tre benefici diretti per i territori:
- ridurrà il numero di camion (circa 600.000/anno) sulle strade nel delicato ambiente alpino con l’autostrada ferroviaria e il trasporto combinato; 
- toglierà dalla linea esistente i treni merci che passano, e passeranno sempre più, tra le case facendoli viaggiare sotto terra;
- riserverà la linea storica ai passeggeri con il servizio ferroviario metropolitano per i residenti ed il turismo.


I cantieri e i lavori 

Per la movimentazione del materiale di scavo sarà utilizzata la ferrovia. Il materiale verrà caricato sui treni con nastri trasportatori chiusi. Si è deciso anche che nei cantieri non si realizzino campi base, con dormitori e mense: gli operai utilizzeranno, come si fa da anni in Francia, le strutture ricettive e di ristorazione del territorio. 

Ricadute positive sul territorio 

La Regione Piemonte ha varato una legge analoga alla “Démarche Grand Chantier” che in Francia ha portato importanti ricadute imprenditoriali ed occupazionali ai Comuni interessati dai cantieri. Le opere preparatorie e complementari dei cantieri consentiranno alle imprese locali di poter competere e, dall’altro, di preparare con corsi di formazione i profili professionali occorrenti nei vari settori specializzati (si stimano 2600 addetti/anno di cui l’80% qualificati). Il territorio poi avrà i benefici stabiliti dal Piano Strategico elaborato dalla Provincia di Torino, finanziato con una quota fino al 5% dell’importo dell’opera. 

A proposito di costi

I costi previsti per l’opera, affermano i Sì Tav, non sono eccessivi. I valori in Italia e in Francia sono omogenei con costi unitari corrispondenti per le stesse categorie di opere. Inoltre i lavori della Parte Comune, da Susa a S. Jean de Maurienne, saranno appaltati da un unico promotore pubblico binazionale con modalità e procedure unificate nei due Paesi, rendendo impossibili disparità di costi. La compartecipazione finanziaria dell’Unione Europea, del Governo francese e del Governo italiano impone sempre un triplice ordine di verifiche in parallelo da parte dei vari organi di controllo (ad es. le varie Corti dei Conti). I costi unitari complessivi, stimati in circa 100 milioni a km sono in linea con quelli praticati ad esempio per il Brennero e per il San Gottardo i cui tunnel di base, di circa 57 km, sono comparabili con quello progettato per la Torino Lione.


Bruno Andolfatto

E’ un'opera inutile 

Nel decennio tra il 2000 e il 2009 il traffico merci dei tunnel autostradali del Frejus e del Monte Bianco, insieme, è crollato del 31%. Sulla ferrovia del Frejus, il traffico merci si è addirittura dimezzato dal 2000 al 2010 e ora è ben al di sotto del livello dei 5 milioni di tonnellate a cui era 50 anni fa. La linea attuale è più che sufficiente per il traffico merci attuale che è in diminuzione da oltre dieci anni e lontanissimo dalla saturazione.

I costi sono insostenibili 

Il totale dei costi preventivati a carico dell’Italia per la Torino-Lione sarebbe di 17 miliardi di euro ma non sembra fuori luogo prevedere un raddoppio dei costi di tutta l’opera ed ipotizzare per la Torino-Lione un onere per l’Italia di 35 miliardi di euro. Il contributo dell’Unione Europea fino ad ora previsto è di circa 672 milioni di euro. Per i No Tav il costo al km fornisce dati impressionanti: se si fa una media dell’intera sezione comune italo francese, dividendo il costo previsto per la tratta internazionale, si arriva a 175 milioni di euro per km. Per la sezione tutta italiana, il preventivo si aggira intorno ai 100 milioni per km. L’economista Marco Conti ha calcolato che sulla base dei soli preventivi esistenti, la Torino-Lione verrebbe a costare 1300 euro per ogni famiglia media italiana di quattro persone. Il progetto della Torino-Lione fino a dicembre 2010 ha comportato spese per almeno 780 milioni di euro senza aver realizzato neppure un centimetro dell’opera progettata.


Un progetto devastante 

L’attuale progetto non è meno impattante di quello vecchio, abbandonato sei anni fa. Ai margini della città di Susa, cantiere e strutture accessorie copriranno una lunghezza di tre km. Idem a Chiusa S.Michele, Avigliana, Orbassano e Torino. E il pericolo costituito dall’amianto non è stato evitato perché, oltre al tunnel internazionale di 57,3 km, c’è l’incognita delle rocce del tunnel dell’Orsiera (18,8 km)e la certezza i un alto livello di rocce amiantifere nella collina morenica. Per la sola tratta internazionale (fino a Chiusa S.Michele) LFT prevede un milione di metri quadrati di espropri e 700 mila metri di occupazioni temporanee di durata non prevedibile, in un fondovalle dove il suolo pianeggiante è scarso.

Mentre sulla tratta nazionale (Chiusa S.Michele – Settimo) il tracciato RFI comporterà la perdita per iun tempo definito o indefinito, di almeno 2 milioni e mezzo di metri quadri di suoli agricoli o urbani. Va tuttavia precisato che, la decisione di costruire l’opera per “fasi”, partendo dal 2013 a scavare il tunnel di base Susa-St Jean de Maurienne (57 km), a costruire la stazione internazione di Susa e rinviando al 2023 l’eventuale realizzazione delle opere in bassa valle (tunnel dell’Orsiera e interconnessione sulla piana delle Chiuse).

L’effetto cantieri

I cantieri producono rumori, polveri, disturbo, inquinamento, grossi fabbisogni energetici e idrici, stravolgimento dell’ambiente e del paesaggio; fanno scendere il valore abitativo delle case su un’area molto vasta. In val di Susa e nella la periferia Ovest di Torino, il sovraccarico di opere di attraversamento e di cantieri, in aree residenziali, produrrà il cosiddetto “effetto Bronx”. 

Danni alla salute 

L’esame del nuovo progetto ha prodotto l’appello di 312 tra medici di base, medici ospedalieri, infermieri e farmacisti che denuncia “numerose problematiche legate agli aspetti sanitari, con possibili ricadute sulla salute pubblica. Lo stesso studio ambientale del progetto afferma che gli incrementi di PM10 “giustificano ipotesi di impatto sulla salute pubblica di significativa rilevanza, soprattutto per le fasce di popolazione ipersuscettibili a patologie cardiocircolatorie e respiratorie, che indicano incrementi patologici del 10%”. Preoccupano poi il rischio amianto, la presenza di uranio nell’area del tracciato del tunnel di base, la presenza di radon, il rumore e le vibrazioni prodotte prima dai cantieri e poi dalla linea in esercizio, la perdita e la compromissione delle risorse idriche così come già avvenuto nel Mugello.

Le illusioni sull’occupazione

La Torino-Lione non porterà occupazione e sarebbe già un successo se il bilancio complessivo non fosse negativo: le imprese dei cantieri si impiantano come un paese autonomie per tutte le forniture dipendono dai grandi contratti. Secondo le previsioni si parla di non più di 2500 persone su una durata media dei lavori, calcolata dai progettisti,in sette anni. E anche se gli occupati fossero molti di più bisognerebbe calcolare la perdita di posti in altri comparti, come l’agricoltura, penalizzata dalla perdita di almeno 4 milioni di metri quadri di suoli fertili.

Bruno Andolfatto

«Sento di dover esprimere il mio profondo rammarico per le violenze che si sono verificate. Richiamo le persone di buona volontà a lasciare ogni metodo violento e a ritrovare nel dialogo l’unico modo “umano” di vita civile». Sono le parole con cui il vescovo di Susa, monsignor Alfonso Badini Confalonieri, nel mese di luglio, commentava sul settimanale diocesano La Valsusa, gli scontri avvenuti intorno al cantiere per il cunicolo esplorativo della Maddalena, a Chiomonte.


Intorno alla questione Tav, in questi anni, si è acceso un vivace dibattito all’interno del mondo cattolico. E, nel movimento che si oppone alla costruzione della linea per il treno veloce, si è costituito un gruppo chiamato “cattolici per la vita della valle” che, prima degli scontri, proprio alla Maddalena aveva costruito un pilone votivo con i volti dei santi e una raffigurazione della Madonna del Rocciamelone. Un’iniziativa che già allora aveva fatto discutere e che aveva sollevato alcune perplessità tra chi, nel popolo dei credenti valsusini, aveva contestato l’utilizzo di simboli religiosi per manifestazioni di taglio politico. Ed era ancora il vescovo di Susa a fine luglio a dichiarare a Famiglia Cristiana che «il dialogo è un imperativo per un cristiano. La Chiesa non ha il compito di dire se fare o non fare la ferrovia, se andare a cavallo o a piedi. Ha il compito di annunciare la salvezza portata da Cristo incarnata in alcuni valori intramontabili, tra cui la giustizia e la difesa della dignità dell’uomo. Assolutizzare le ragioni del sì o quelle del no ci porta fuori da una logica evangelica».


Ma gli arresti di giovedì 26 gennaio che cosa cambiano nel panorama valsusino? Gli sviluppi per ora sono difficili da prevedere. Di certo, commenta il direttore de La Valsusa, don Ettore De Faveri, «l’azione della Magistratura non mette in discussione il movimento No Tav valsusino ma lo obbliga a una profonda riflessione sui suoi comportamenti di contestazione dell’opera».


Bruno Andolfatto

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