Jennifer Connelly è la moglie di Noè. In alto: con Russell Crowe.
È il più atteso. Noah è il film che
segna la stagione cinematografica.
Perché Antico e Nuovo Testamento
sono libri ancora capaci
di affascinare. Come dimostra
il successo Tv dell’ultima
versione della Bibbia, prodotta
da History Channel e trasmessa
da Rete 4 (circa 5 milioni di spettatori
ogni domenica). Questione di valori
morali e religiosi. Ma appassionano
anche le vicende, aspre e struggenti, di
protagonisti che fanno parte del nostro
immaginario. Prima e dopo la venuta di
Gesù: Abramo, Mosè, i profeti, Maria,
Giuseppe, Erode, Caifa, Pilato, Giuda,
gli apostoli.
Una cosa poi è leggere,
tutt’altra è visualizzare sullo schermo
le loro avventure umane. Ecco perché il
filone biblico, dall’epoca del muto, ha
sempre avuto fortuna al cinema.
Da bambino, Darren Aronofsky (regista
ebreo americano di origini russe)
fantasticava sui racconti biblici, affascinato
soprattutto da Noè: «Lo vedevo come
un complicato personaggio dark»,
spiega, «con l’animo del sopravvissuto
dopo il diluvio universale». Gli ci sono
voluti anni ma, dopo il Leone d’oro vinto
a Venezia con The wrestler e l’Oscar
fatto guadagnare a Natalie Portman per
Il cigno nero, è diventato così influente
a Hollywood da trasformare le sue fantasie
in un film.
Noah, uscito in America
a fine marzo, arriverà nei nostri cinema
il 10 aprile preceduto da polemiche
(pare che i musulmani non abbiano gradito)
e dal battage degno di un kolossal
(budget da 130 milioni di dollari con effetti
speciali della Industrial Light and
Magic di George Lucas). Non ultimo per il cast strepitoso in cui attori del calibro
di Anthony Hopkins ed Emma Watson
fan da corona ai protagonisti: Russell
Crowe (Noè) e Jennifer Connelly (sua
moglie Naameh). Due premi Oscar.
«Russell è il mio portafortuna: ero
sua partner dodici anni fa, sul set di A
beautiful mind, il film che mi ha fatto
vincere la statuetta», sorride Jennifer
Connelly, 43 anni e tre figli (Kai, Stellan
e la piccola Agnes) malgrado l’aspetto
da eterna ragazza. «È stato bello ritrovarlo
sul set di Noah. Certe complicità
funzionano anche a distanza di anni».
Che bello, sentirla parlare italiano!
«Me la cavo abbastanza. Ho imparato
trent’anni fa, al debutto, lavorando
con Sergio Leone in C’era una volta in
America. E poi con Dario Argento, sul
set di Phenomena. Registi straordinari».
La storia di Noè è nota. Per voi è
stato un vantaggio o una difficoltà?
«Darren era concentrato sui grandi
temi: cosa sia giusto e cosa sbagliato, il
dovere di un uomo nei confronti del
mondo in cui vive... Il film è fedele
all’Antico Testamento. Ma il vero sforzo
è stato rendere tutto questo reale».
Si riferisce alle sequenze di massa
con gli animali? Al diluvio universale?
«Scene mirabili. Più difficili, però, le
parti del film inerenti la famiglia. L’interagire
di Noè, negli spazi angusti
dell’arca, con i figli Sem, Cam e Jafet».
E con Naameh, di cui si sa poco...
«Ne abbiamo discusso tanto tra noi».
Lei come definisce il personaggio?
«È una moglie leale. Una donna impetuosa
che, in circostanze straordinarie,
lotta per proteggere la famiglia. Da
madre, capisco bene ciò che prova».