L’inizio non è dei più incoraggianti. Appena sbarcati sull’isola di Montecristo, Luciana Andriolo ci accoglie così: «Alla fine ce l’avete fatta. Per due volte abbiamo detto di no». Già i carabinieri della motovedetta che ci aveva condotto qui ci avevano avvisato: «I custodi non hanno un buon rapporto con i giornalisti».
Del resto, se due persone da quasi nove anni scelgono di trascorrere gran parte della loro vita in solitudine su una specie di scoglio di dieci chilometri quadrati, si capisce che non abbiano molta voglia di incontrare dei ficcanaso di professione. Tanto più oggi che devono interagire con un numero inusuale di nuovi venuti.
Oltre a noi, infatti, sono sbarcati i due carabinieri forestali che ogni 15 giorni danno il cambio ai loro colleghi e una squadra di operai incaricata di restaurare un vecchio magazzino. Così, mentre il marito Giorgio Maraj con il trattore trasporta bagagli, attrezzature e vettovaglie provenienti dalla barca, Luciana mostra ai nuovi arrivati i loro alloggi e noi ne approfittiamo per dare un’occhiata all’isola.
Ci siamo arrivati dopo oltre due ore di navigazione necessarie per percorrere i circa 70 chilometri che la separano da Porto Santo Stefano, lasciandoci alle spalle Giannutri, l’isola del Giglio e l’Elba. Siamo sbarcati nell’unico punto possibile, Cala Grande, un fazzoletto di spiaggia che spunta improvviso tra rocce che cadono a strapiombo sul mare. Montecristo deve la sua fama al conte del romanzo di Dumas, che proprio qui trova il tesoro grazie al quale progetta la sua formidabile vendetta.
Ma la sua storia è molto più antica. L’origine del nome è riconducibile a san Mamiliano, che vi soggiornò nel V secolo dopo Cristo sul monte dove visse come eremita in una grotta, tuttora visitabile insieme ai resti del convento costruito dai suoi seguaci, sia pure a prezzo di una dura scarpinata in salita tra le rocce.
Ma molto prima di lui, portate chissà da chi, arrivarono le vere padrone di Montecristo: le circa 200 capre selvatiche che fanno capolino ovunque e che ti osservano senza timore perché qui sei tu l’intruso. «L’eccezionalità di quest’isola sta nel fatto che il tempo in pratica si è fermato», spiega Giorgio. «Vedete quei lecci? Ne parla già Plinio il vecchio nella sua Naturalis Historia». Per questo dal 1971 Montecristo è una riserva naturale integrale: significa che sono vietati l’accesso, l’immersione e la pesca fino a un miglio di distanza. E per questo gli accessi sono molto limitati. «Concediamo solo mille autorizzazioni l’anno per le visite guidate», spiega il comandante dei Carabinieri forestali di Follonica Giovanni Quilghini. «Le scolaresche hanno una corsia preferenziale, mentre i tempi di attesa per i privati sono in media di tre anni. Montecristo ha un habitat naturale unico e tocca a noi preservarlo, in collaborazione con enti e istituti di ricerca».
Incantati dall’acqua cristallina, è impossibile non chiedere a Giorgio e Luciana come facciano a resistere alla tentazione di farsi un bel tuffo in estate. «Non mi costa nulla: non so nuotare», risponde lei. «Per me il mare è solo una superficie in cui farmi un giro ogni tanto con la mia barchetta a vela», le fa eco lui.
A parte la villa che fu ritiro di nozze di Vittorio Emanuele III e una foresteria, l’unica costruzione presente sull’isola è la casetta di Giorgio e Luciana. Accettano di farcela visitare: in fin dei conti, non sono così burberi come sembravano, anzi. Basta solo sforzarsi di entrare nel loro mondo in punta di piedi. Entrambi sulla sessantina,senza figli, hanno un passato da allevatore e da bancaria. «Io sono trentina, lui è veneto. Ci siamo conosciuti a Vicenza, dove ancora vivono i nostri anziani genitori e i nostri fratelli».
In cucina ci sono i monitor collegati alle telecamere e una finestra da cui si vedono benissimo i promontori della Corsica. E poi, sdraiata a prendere il sole, c’è la micia Amba, che si chiama «come la tigre siberiana del film Dersu Uzala di Akira Kurosawa».
D’estate con loro ci sono i due carabinieri forestali a prendersi cura dell’isola e ad accogliere i visitatori. Ma d’inverno, quando le visite sono sospese, c’è solo lei a far compagnia a Giorgio e a Luciana. «Qui c’è sempre da fare, non ci annoiamo mai», dice lui. «Bisogna badare all’orto, tenere in ordine la casa e la villa, seguire le indicazioni dei ricercatori, soprattutto sui comportamenti degli uccelli migratori che fanno tappa qui, far fronte alle emergenze, come quella dello scorso inverno quando lo scirocco in una notte sradicò sei pini».
Per questo Giorgio è contadino, boscaiolo, fabbro, idraulico, elettricista, mentre Luciana fa da sé il pane e la pasta. «Quando non lavoriamo leggiamo libri e facciamo delle belle passeggiate. Abbiamo anche la Tv, ma io la guardo solo quando stiro». L’acqua e il resto delle provviste le acquistano durante i mesi estivi dai carabinieri forestali. E se uno dei due si sente male? Vicino alla casa c’è uno spiazzo predisposto per l’atterraggio di un elicottero. «Ma con il vento forte e il mare grosso, cosa che capita spesso d’inverno, l’isola è inaccessibile. Che dire, finora ci è andata bene».
Per scaldarsi, Giorgio e Luciana usano la legna caduta dagli alberi che alimenta il caminetto in cucina. «In camera da letto basta una bella coperta: d’inverno la temperatura scende al massimo a 13 gradi». Prima di allora, Giorgio e Luciana si concederanno qualche settimana di vacanza. «Andremo un po’ in Francia e ne approfitteremo per far visita ai nostri cari. Mia mamma prepara uno spezzatino che qui ce lo sogniamo…».
Il tempo a nostra disposizione è già finito: gli operai salgono sulla motovedetta e noi li seguiamo. E mentre Luciana ci saluta dal molo, ci tornano in mente le sue ultime parole: «Quest’estate abbiamo visto un sacco di gente. Non vedo l’ora che arrivi novembre per poter fare delle belle passeggiate da sola con Giorgio».
Foto di Simone Donati/TerraProject