Rubano nelle case. Sono sporchi. Sono parassiti. Rapiscono i bambini. Non mandano i figli a scuola. Vivono di elemosina ma guidano belle macchine. Non vogliono lavorare. A loro danno casa e soldi e a noi italiani niente. Da quando sono arrivati loro, nel quartiere non si vive più. Non sanno o non vogliono integrarsi.
Quando si parla di rom, spesso la strada più facile è ricorrere ai luoghi comuni. Non importa se, quando o in che misura si sia potuto appurare la veridicità di certi stereotipi. Il luogo comune è diventato, nella percezione generale, un dato acquisito: la discriminazione e il pregiudizio verso i rom sono elementi profondamente radicati nel nostro orizzonte culturale.
Qualcuno potrebbe obiettare che questa affermazione è a sua volta figlia di un luogo comune, per giunta di matrice buonista. Si provi allora a pensare se, nel vagone affollato di una metropolitana, ci si trovasse accanto un "nomade": quanti controllerebbero subito, in maniera istintiva, il portafogli o la borsa? Fra di loro si conta anche chi scrive.
Letteralmente lo stereotipo è la lastra che si applica ai rulli per stampare con le rotative cilindriche. Ma al di fuori del contesto tipografico, in psicologia e sociologia lo stereotipo indica l'applicazione di opinioni precostituite a cose o persone: i comportamenti che uno stereotipo attribuisce a un gruppo sociale sono sempre e per tutti.
Ovviamente tutti, chi più chi meno, ragionano attraverso stereotipi: in particolar modo, nell'incontro con la diversità e nell'autorappresentazione dell'alterità, ci si aspetta di trovare alcune caratteristiche che, per l'appunto, vengono ritrovate. Mentre quelle inattese sfuggono perché estranee alla propria rappresentazione. L'ignoto rientra nel noto. Il nuovo rientra nella categoria del vecchio. Sono "profezie che si autodeterminano".
Ma come nascono questi stereotipi? E, soprattutto, in una società mediatica come la nostra, è possibile affermare senza timore di smentita che i mass media esercitino un ruolo determinante nella formazione di luoghi comuni, "leggende urbane" e credenze generalizzate? Infine: è possibile che, proprio per la rilevanza attribuita ai media nella società odierna, lo spirito critico di ognuno sia stato progressivamente indebolito e svilito?
Il Naga è un'associazione di volontariato che, dal 1987, lavora a Milano fornendo ogni anno cure mediche a 15 mila cittadini stranieri irregolari, oltre ad assistenza legale, sociale e informativa. L'associazione svolge anche un'importante attività di denuncia e sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Il tutto in modo gratuito.
Il 7 maggio scorso è stato presentato "Se dico rom... Indagine sulla rappresentazione dei cittadini rom e sinti nella stampa italiana", un rapporto curato e realizzato dai volontari dell'associazione. Il presupposto da cui è partita l'indagine è che anche la stampa contribuisca a costruire un'immagine sociale negativa di rom e sinti.
Una ricerca quindi del nesso tra rappresentazione negativa e discriminazione, con l'intenzione di individuare alcuni dei meccanismi – consapevoli o inconsci – attraverso i quali si verifica la costruzione culturale dello straniero, del rom nel caso specifico, come elemento di minaccia, che va temuto e pertanto escluso preventivamente.
In un arco temporale di dieci mesi, da giugno 2012 a marzo 2013, sono state prese in considerazione 9 testate giornalistiche nazionali e locali: "Il Corriere della Sera", "La Repubblica", "La Stampa", "Il Sole 24 ore", "Il Giornale", "Libero", "La Padania", "La Prealpina" e "Leggo". Sono stati raccolti e analizzati ben 500 articoli comparsi sulle suddette testate nel periodo in oggetto, a riprova della consistenza sia qualitativa sia quantitativa dell'indagine.
"Vi ricordate il recente caso di cronaca di Udine, quando due ragazze si sono autoaccusate dell'omicidio di un uomo?", chiede Federico Faloppa, docente di linguistica all'università inglese di Reading che ha curato l'illuminante prefazione al rapporto del Naga.
"E se le due ragazze fossero state rom? Si sarebbe indagato allo stesso modo sulla stampa, in cerca di ragioni, informazioni su di loro e sulla loro vita, di possibili giustificazioni? Oppure si sarebbe concluso semplicemente che le due ragazze erano rom, e perciò automaticamente colpevoli senza il bisogno di aggiungere altro?".
La provocazione di Faloppa non è affatto casuale e riporta direttamente alla metodologia seguita per l'indagine; la ricerca si è svolta per parole chiave (rom, nomadi, zingari) e ha portato a individuare non solo articoli che davano conto di episodi o fatti di cronaca con cittadini rom protagonisti.
Al contrario, è emerso un gran numero di articoli che, parlando di fatti negativi, facevano riferimento ai rom in modo a volte inspiegabile, altre volte allusivo, in ogni caso del tutto arbitrario visto che non c'era coinvolgimento diretto di cittadini rom nell'episodio in questione.
Dall'analisi svolta, quindi, è emersa l'associazione sistematica dei rom a fatti negativi di varia natura, anche quando alcuni comportamenti non costituiscono reato. Per esempio, la semplice presenza o passaggio di uno o più rom in un dato luogo, così come un cittadino rom che si lava a una fontanella, sono stati associati a resoconti sul degrado di una zona.
Molto spesso queste associazioni indebite hanno avuto carattere fortemente discriminatorio, utilizzando tavolta l'espediente delle virgolette, attraverso le quali il giornalista fa dire ad altri ciò che vorrebbe dire in prima persona. Senza contare che in alcuni casi la veridicità e l'attendibilità delle dichiarazioni riportate sono tutte da dimostrare.
Dall'analisi svolta dal Naga, quindi, emerge che nel 30 per cento degli articoli sono presenti dichiarazioni che si possono considerare discriminatorie e che rimandano principalmente a racconti di intolleranza sociale e discriminazione (37,2 per cento).
Un'altra modalità riscontrata di frequente nella rappresentazione dei rom sulla stampa è quella di creare una divisione: noi contro loro, i cittadini e i rom (32,3 per cento degli articoli).
Non solo i due gruppi sono separati, ma sono anche diversi ontologicamente: una dicotomia tra valori buoni e caratteristiche negative, delle quali i rom sono portatori "per natura". Conseguenza diretta di questa rappresentazione è che il benessere e i diritti degli uni sono alternativi e antitetici a quelli degli altri: o stiamo bene noi o stanno bene loro.
Il lavoro di monitoraggio della stampa effettutato dal Naga ha quindi messo in luce, una volta di più, il ruolo determinante della stampa nella costruzione e circolazione delle idee.
In questo caso, indipendentemente dalle intenzioni, la rappresentazione dei rom da parte della stampa crea necessariamente un'idea su di loro negativa nell'opinione pubblica, scavando ancor di più il fossato che impedisce loro di raggiungere pieni diritti civili e sociali.
Ma se la stampa è uno strumento talmente potente, lo può essere anche in senso opposto a quello discriminatorio: la stampa potrebbe diventare un utilissimo e proficuo veicolo di conoscenza e avvicinamento.
Questa è la speranza di Cinzia Colombo, presidente dell'associazione: "Il Naga propone ai singoli giornalisti, all'Ordine, ai titolisti, alla Federazione nazionale della stampa di rispettare e applicare le Linee guida per l'applicazione della Carta di Roma, firmare l'appello 'I media rispettino il popolo rom' lanciato da 'Giornalisti contro il razzismo' e di dare voce ai cittadini rom e sinti. Interpellarli, ascoltarli come fonti".
È una sfida, un lavoro culturale che non può essere demandato ai soli giornalisti della carta stampata, naturalmente. Anche chi legge ha la sua responsabilità. Nel quotidiano, ognuno di noi ha l'occasione per essere portatore di una rappresentazione diversa dei cittadini rom. Per rinunciare agli stereotipi e affidarsi allo spirito critico maturato in prima persona.
Per maggiori informazioni consultare il sito: www.naga.it