“Intanto saluto l’Italia, adoro l’Italia”. Intercettato dal corrispondente del Sole 24 ore Mario Platero al centrale del Flushing Meadows, il futuro presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva risposto come risponderebbe qualunque americano medio. Per il quale, come è noto, Italia – al netto dei luoghi comuni tipo mafia, spaghetti, Brookling e mandolino – significa bei luoghi da visitare, arte, cultura, Roma, il Colosseo, San Pietro, il Papa. Fin qui, dunque, tutto bene. Ma poi? Cosa cambierà per noi italiani, al di là dell’oleografia e del turismo, dal nuovo vento che soffia dall’Atlantico? Purtroppo da un personaggio così atipico, così fuori dalla norma, definito da Michael Moore (che aveva previsto la sua elezione) un “sociopatico a tempo pieno” c’è da aspettarsi di tutto. Trump è una pagina bianca per l’America, figuriamoci per l’Italia, che vista da New York è un puntino sul mappamondo a forma di stivale. Non ci resta che azzardare qualche previsione, al netto di tanti luoghi comuni, sulla base degli effetti indiretti della visione internazionale del tycoon, che - come è noto – ha conquistato la Casa Bianca al motto di America first, prima l’America. Il resto viene dopo, molto dopo.
Il "gemello diverso" Silvio Berlusconi. I media e i politici di Centrodestra non fanno che gridare al modello Berlusconi per descrivere il nuovo presidente americano. Dunque l'uomo di Arcore sarebbe il prototipo dell'attuale presidente americano. C’è persino chi ha titolato giulivo: “Hanno eletto Berlusconi”. In realtà le differenze tra i due tycoon sono molto maggiori delle superficiali analogie. E’ vero, entrambi imprenditori, ricchi, immobiliaristi, antipolitici, zeppi di conflitti di interessi, non insensibili al fascino femminile, per usare un eufemismo. Ma Trump non ha mai posseduto un impero mediatico come quello di Berlusconi, è molto meno preparato giuridicamente e politicamente (lo abbiamo visto nei dibattiti Tv con la Clinton), ha una storia economica molto diversa, un’altalena di cadute e resurrezioni, bancarotte, contenziosi, rapporti finanziari galattici gravitanti sul mondo arabo, uno stile rozzo e diretto che il Cavaliere non ha mai avuto. Per non parlare del contesto americano liberista totalmente differente. Inoltre Trump non viene dalla classe piccolo borghese, c'è chi addirittura sostiene che ha più o meno lo stesso patrimonio del padre. Tanto è vero che i due non si sono mai presi, forse non si sono mai nemmeno conosciuti. In realtà il modello italiano più presente al tycoon, come ha fatto sapere senza problemi, è Benito Mussolini, di cui ama twittare il motto "Meglio un giorno da leone che cent’anni da pecora" (senza sapere che è di Longanesi). A proposito, Trump in Italia ha fatto pochissimi affari, quasi nessuno.
Trump e l’Europa. Passando a cose più serie, c’è da valutare il ruolo dell’Europa, tradizionale alleata filo atlantista, nella visione di Trump, pragmatico e prudente, protezionista e isolazionista, dunque meno incline a intervenire sullo scacchiere mondiale nel nome della famigerata Dottrina Monroe (la teoria imperialista americana). E’ probabile che l’Unione in particolare, dopo Brexit, verrà lasciata un po' più al suo destino, senza ombrelli a stelle e strisce. Gli antichi liberatori hanno altro cui pensare. Il che potrebbe portare a una diminuzione delle tensioni in Europa, a cominciare dall’Ucraina (verranno meno le sanzioni? La Russia rientrerà nel G7 e dunque nel G8?). La predisposizione filo- Putin del candidato Trump è stata molto gonfiata dai media. Ma il neo presidente è certamente favorevole all’appeseament, a differenza dell’interventista Hillary Clinton. C’è molto più da temere dal suo ventilato protezionismo, che potrebbe danneggiare il nostro Export, il secondo d’Europa. Ma su questo Trump sembra guardare più al Pacifico che all’Atlantico. Il suo nemico dichiarato è la Cina, cui in campagna elettorale non ha perdonato la globalizzazione selvaggia e la manipolazione della moneta cinese, annunciando una sorta di condono per il rientro dei capitali. L’Europa potrebbe fare di necessità virtù e accentuare un ruolo più autonomo, poiché Trump non ha pià intenzione di mantenere le spese militari Nato a favore dei Paesi europei.
Il terrorismo dell’Isis. E’ una delle tante incognite dell’amministrazione Trump. In Campagna elettorale si è limitato a dire che non ha intenzione di mettere gli scarponi sul terreno (come del resto Obama) ma di voler risolvere la cosa bombardando i pozzi petroliferi che finanziano il Califfato. Se fosse così semplice l’avrebbero fatto anche Obama e la Clinton. La distensione con la Russia potrebbe anche portare a una guerra in Siria non più in ordine sparso. Tutto questo naturalmente avrà un ripercussione anche in Europa, la principale vittima degli attentati dell’Isis.
Il vento del populismo. Con l'avvento di un populista alla Casa Bianca esultano i Farage, i Grillo, i Salvini, le Le Pen, gli Orban e tutti i leader populisti del vecchio Continente, preconizzando un contagio sicuro già a partire dalle prossime elezioni in Francia e in Austria. Sarà, ma se così fosse, in questi otto anni di amministrazione Obama, sempre per contagio, le sinistre europee avrebbero dovuto scoppiare di salute. E invece...
L’Italia e la fine della globalizzazione. C’è chi ha preconizzato con Trump la fine dell’era della globalizzazione, iniziata ufficialmente con la caduta del muro di Berlino (in realtà era già iniziata negli anni ’70). Suggestiva tesi, corroborata dall’innalzamento di nuovi muri. Parafrasando Fukuyama, sarebbe un nuovo inizio della storia. Globalizzazione significa, tra le tante cose, flussi migratori incontrollati, poteri transanazionali che oltrepassano i confini difficilmente gestibili, fallimento degli organismi internazionali come l’Onu, velocità siderale delle operazioni finanziarie e delle ripercussioni (il battito d'ali di farfalla a Pechino che provoca un terremoto a New York), delocalizzazione delle imprese con il relativo impoverimento della classe operaia e del ceto medio dei Paesi occidentalizzati. Una faccenda che riguarda maledettamente anche il nostro Paese.