Papa Francesco con il Gran Muftì di Gerusalemme, sheikh Muhammad Ahmad Hussein (primo a sinistra). Foto Reuters.
«Viviamo nella speranza che finisca l'occupazione israeliana e che i palestinesi abbiano un loro Stato. Ma questo non può accadere senza l'aiuto internazionale». Il francescano padre Silvio De La Fuente traduce per papa Francesco le parole del Gran Mufti di Gerusalemme, Sheikh Muhammad Ahmad Hussein. «Riconosciamo il ruolo svolto dal Vaticano nell'assistenza ai rifugiati dal 1948 in poi». Il Gran Mufti ringrazia per quanto il Papa sta già facendo e gli chiede di «intervenite anche per i circa 5.000 prigionieri ancora nelle prigioni israeliane, tra questi anche donne e bambini. Santità, la pace non può esserci finché permane l'occupazione. Noi vogliamo la piena libertà».
Al Muro del pianto, dal canto suo il rabbino Shmuel Rabinovich ricorda la «missione importante di combattere contro l'antisemitismo». Al muro occidentale il commosso abbraccio tra papa Francesco, che era entrato prima nel santuario della Roccia, e i suoi due grandi amici, il rabbino Abraham Skorka e il musulmano Omar Ahmed Abboud.
Papa Francesco con il Gran Rabbino Shmuel Rabinovich (foto Reuters).
«Ho chiesto al Signore la grazia dell'abbraccio», ha commentato papa
Francesco dopo aver deposto negli interstizi del muro la preghiera del
Padre Nostro «nella lingua che la madre gli ha insegnato», ha dichiarato
il rabbino Skorka.
Nell'incontro con il Gran Muftì il Papa aveva ribadito che questo
viaggio vuole essere «sulle orme dei miei predecessori, e in particolare
nella luminosa scia del viaggio di Paolo VI di cinquant’anni fa, il
primo di un Papa in Terra Santa. Ho desiderato tanto venire come
pellegrino per visitare i luoghi che hanno visto la presenza terrena di
Gesù Cristo. Ma questo mio pellegrinaggio non sarebbe completo se non
contemplasse anche l’incontro con le persone e le comunità che vivono in
questa Terra, e pertanto sono particolarmente lieto di ritrovarmi con
voi, fratelli amici musulmani. In questo momento il mio pensiero va alla
figura di Abramo, che visse come pellegrino in queste terre. Musulmani,
cristiani ed ebrei riconoscono in Abramo, seppure ciascuno in modo
diverso, un padre nella fede e un grande esempio da imitare».
Il rigido protocollo israeliano impone da tre anni a tutti i capi di
Stato la visita al Monte Herzl, dedicato al fondatore del sionismo. Il
premier Netanyahu, con un fuori programma, ha fatto deviare il Papa sul
luogo del memoriale delle vittime del terrorismo quasi a bilanciare la
fermata al muro di Betlemme che il Papa aveva compiuto ieri.
E dopo la visita al memoriale di Yad Vashem, dove il Papa ha incontrato
sei sopravvissuti all'olocausto, si è rivolto direttamente a Dio
dicendo: «Ricordati di noi nella tua misericordia. Dacci la grazia di
vergognarci di ciò che, come uomini, siamo stati capaci di fare, di
vergognarci di questa massima idolatria, di aver disprezzato e distrutto
la nostra carne, quella che tu impastasti dal fango, quella che tu
vivificasti col tuo alito di vita».
«Adamo dove sei? Dove sei, uomo? Dove sei finito? In questo luogo,
memoriale della Shoah, sentiamo risuonare questa domanda di Dio. Il
questa domanda c'è tutto il dolore del Padre che ha perso il figlio».
E se al Gran Mufti il Papa aveva chiesto che «nessuno strumentalizzi
per la violenza il nome di Dio. Lavoriamo insieme per la giustizia e per
la pace», ai due Gran Rabbini di Israele, papa Francesco ha ricordato
che solo «insieme potremo dare un grande contributo per la causa della
pace; insieme potremo contrastare con fermezza ogni forma di antisemitismo e le diverse altre forme di discriminazione».
A braccio, infine, l'incontro con Peres. «La pace è questioni di
fantasia e di immaginazione e noi abbiamo bisogno di questo. Lei porta
con se tutti e due questi elementi», ha detto il presidente israeliano.
«Con questa fantasia e immaginazione vorrei inventare una nuova
beaitudine: Beato quello che entra nella casa di un uomo saggio e buono
io qui mi sento beato», ha risposto papa Francesco.