L’ultimo gesto del viaggio di papa Francesco è una benedizione alla Chiesa in Mongolia e un monito al mondo. Inaugurando la Casa della misericordia, destinata ai senza fissa dimora, alle persone vittime di violenza, migranti, ai diseredati, Bergoglio ringrazia il grande Paese che lo ha accolto dal 31 agosto al 4 settembre, e ricorda che «il vero progresso delle nazioni, infatti, non si misura sulla ricchezza economica e tanto meno su quanto investono nell’illusoria potenza degli armamenti, ma sulla capacità di provvedere alla salute, all’educazione e alla crescita integrale della gente. Vorrei dunque incoraggiare tutti i cittadini mongoli, noti per la loro magnanimità e capacità di abnegazione, a impegnarsi nel volontariato, mettendosi a disposizione degli altri. Qui, presso la Casa della Misericordia, avete una “palestra” sempre aperta dove esercitare i vostri desideri di bene e allenare il cuore».
Nel grande Paese, che confina con la Cina e con la Russia, il Pontefice non è venuto a fare politica, come ha più volte ribadito, ma a rinsaldare quella fede che, come nelle prime comunità cristiane, si base su quattro pilastri: «comunione, liturgia, servizio e testimonianza. Proprio come le quattro colonne delle grandi ger, che sostengono il tondo centrale superiore, permettendo alla struttura di reggersi e di offrire spazio accogliente al suo interno». La tipica casa mongola, che si può definire «green e smart» per come è costruita e perché è itinerante, che Francesco ha visitato proprio all’inizio della sua visita apostolica entrando in quella di Tsetsege, la donna che - una decina di anni fa - aveva raccolto dalla spazzatura una statuetta di legno della Madonna, poi intronizzata nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo e chiamata "Madre del Cielo". «La nostra Madre celeste», aveva detto parlando ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, «ha voluto darvi un segno tangibile della sua presenza discreta e premurosa lasciando che si trovasse una sua effigie in una discarica. Nel luogo dei rifiuti è comparsa questa bella statua dell'Immacolata: lei, senza macchia, immune dal peccato, ha voluto farsi così vicina da essere confusa con gli scarti della società, così che dallo sporco della spazzatura è emersa la purezza della Santa Madre di Dio». Perché anche se piccola, la Chiesa mongola – appena 1.500 fedeli in un Paese di tre milioni e mezzo di abitanti, a maggioranza buddista – ha molto da dare e da dire- «Senza fare proselitismo» come spesso il Papa ricorda ai missionari, «perché il Vangelo si porta con la testimonianza». E qui dove i cattolici sono tronati, dopo il periodo comunista, da 31 anni sono già tante le opere di carità che i fedeli hanno disseminato in una terra tanto vasta. «Una molteplice varietà di iniziative caritative, che assorbono la maggior parte delle vostre energie e riflettono il volto misericordioso di Cristo buon samaritano».
Una terra nomade in cui il Pontefice ha ricordato che «tutti siamo nomadi di Dio» e che dobbiamo restare saldi nell’amore che solo è garanzia di felicità. Tutela dell’ambiente, accoglienza, dialogo interreligioso. Il Papa ha ringraziato le autorità perché «quello che per noi cristiani è il creato, cioè il frutto di un benevolo disegno di Dio, voi ci aiutate a riconoscere e a promuovere con delicatezza e attenzione, contrastando gli effetti della devastazione umana con una cultura della cura e della previdenza, che si riflette in politiche di ecologia responsabile». E se, grazie anche alla Pax mongola, il Paese vive oggi in un contesto di serenità, occorre fare di più per evitare i conflitti e concorrere a fra cessare quelli che sono in corso. Un Paese impegnato contro la proliferazione nucleare, che ha abolito la pena di morte e che, «con la sua ampia rete di relazioni diplomatiche, la sua attiva adesione alle Nazioni Unite, il suo impegno per i diritti umani e per la pace, riveste un ruolo significativo nel cuore del grande continente asiatico e nello scenario internazionale», ha affermato il Pontefice. Da qui, da questa «Nazione democratica che attua una politica estera pacifica, ma si propone di svolgere un ruolo importante per la pace mondiale» Francesco ha chiesto aiuto anche alle altre religioni che, «quando si rifanno al loro originale patrimonio spirituale e non sono corrotte da devianze settarie, sono a tutti gli effetti sostegni affidabili nella costruzione di società sane e prospere, dove i credenti si spendono affinché la convivenza civile e la progettualità politica siano sempre più al servizio del bene comune, rappresentando anche un argine al pericoloso tarlo della corruzione».
«Credo che, nonostante le principali religioni mondiali come il Buddismo, il Cristianesimo, l'Islam e l'Induismo siano filosoficamente diverse l'una dall'altra nelle loro visioni del mondo, ci accomunino preghiere e attività per uno scopo comune: il benessere dell'umanità», gli ha fatto eco Khamba Nomun Khan Gabju Choijamts Demberel, abate del Monastero di Gandan Tegchenling e capo del Centro dei Buddisti mongoli. «Oggi, nel XXI secolo, il mondo ha raggiunto un livello eccezionale di progresso nell'informazione e nella tecnologia, attraverso lo sviluppo della mente. All'ombra di questo progresso esterno, però», ha aggiunto, «c’è il potenziale rischio che perda importanti valori interiori come la benevolenza, la compassione, la moralità, la tolleranza, il perdono e il karma».
Un messaggio importante quello dei leader seduti assieme per discutere del futuro dell’umanità. Così come potente è arrivato il messaggio alla Cina, attraverso l’abbraccio non previsto con il cardinale emerito di Hong Kong e quello che avrà la berretta cardinalizia nel prossimo concistoro del 30 settembre. Tenendo per mano il cardinale John Tong e monsignor Stephen Chow, Francesco ha augurato «il meglio al nobile popolo cinese», allargando così le maglie di una distensione con Pechino che dovrebbe facilitare anche la prossima missione del cardinale Matteo Zuppi per la pace in Ucraina.
E poi il messaggio ai Governi e alle istituzioni secolari che «non hanno nulla da temere dall'azione evangelizzatrice della Chiesa, perché essa non ha un'agenda politica da portare avanti, ma conosce solo la forza umile della grazia di Dio e di una Parola di misericordia e di verità, capace di promuovere il bene di tutti».
Cita dieci «aspetti sapienziali che la Mongolia può offrire al mondo: «Il buon rapporto con la tradizione, nonostante le tentazioni del consumismo; il rispetto per gli anziani e gli antenati, il dialogo tra nonni e nipoti, la cura per l'ambiente, nostra casa comune, altra necessità tremendamente attuale. E ancora: il valore del silenzio e della vita interiore, antidoto spirituale a tanti malanni del mondo odierno, un sano senso di frugalità; il valore dell'accoglienza; la capacità di resistere all'attaccamento alle cose; la solidarietà, che nasce dalla cultura dei legami tra le persone; l'apprezzamento per la semplicità». E, infine, «un certo pragmatismo esistenziale, che tende a ricercare con tenacia il bene del singolo e della comunità». E chiama i cristaini all’impegno in una terra «arida che ha sete di un'acqua limpida, un'acqua che disseta in profondità; è il nostro cuore che desidera scoprire il segreto della vera gioia, quella che anche in mezzo alle aridità esistenziali, può accompagnarci e sostenerci. Sì, ci portiamo dentro una sete inestinguibile di felicità; siamo alla ricerca di un significato e una direzione della nostra vita, di una motivazione per le attività che portiamo avanti ogni giorno; e soprattutto siamo assetati di amore, perché è solo l'amore che ci appaga davvero, che ci fa stare bene, che ci apre alla fiducia facendoci gustare la bellezza della vita».