dal nostro inviato a Bogotà, Colombia
Sotto lo sguardo sofferente del Cristo di Bojayà, il crocifisso mutilato il 2 maggio del 2002 quando, nella chiesa dove si erano rifugiati, furono assassinati decine di fedeli, scorrono le vittime della violenza. Parlano Luz Dary Landazury, vittima dell’esplosione di una mina, Deisy Sánchez Rey, reclutata a 16 anni dalle Unità di autodifesa della Colombia, Juan Carlos Murcia, che ha perso una mano nei 12 anni in cui ha militato nelle Farc, Pastora Mira García, alla quale hanno ucciso il padre, il marito e due figli.
Raccontano le loro storie, il loro riscatto, il loro impegno per gli altri. Papa Francesco, parla nel parco Las Malocas, in una struttura coperta dove sono raccolte seimila persone vittime di violenza, agenti di polizia, militari, ex guerriglieri. Il momento centrale del suo viaggio in Colombia. «Fin dal primo giorno ho desiderato che venisse questo momento del nostro incontro», dice.
Ed esorta al perdono reciproco, ribadisce che solo l'amore rende liberi, che siamo tutti vittime, chi ha subito le violenze e chi le ha perpetrate. Mette in guardia dalle difficoltà della pace, dalla zizzania che è sempre in agguato perché ci sono ancora quanti traggono vantaggio dai conflitti e non vogliono la pace. E mette i paletti di un processo che si può compiere soltanto mettendo insieme verità, giustizia e misericordia.
«Voi portate nel vostro cuore e nella vostra carne le impronte della storia viva e recente del vostro popolo, segnata da eventi tragici ma anche piena di gesti eroici, di grande umanità e di alto valore spirituale di fede e di speranza», dice alle persone che hanno appena raccontato le loro vicende.
Francesco si sente, e lo dice, come Mosè, su una terra sacra. «Una terra irrigata con il sangue di migliaia di vittime innocenti e col dolore lacerante dei loro familiari e conoscenti. Ferite che stentano a cicatrizzarsi e che ci addolorano tutti, perché ogni violenza commessa contro un essere umano è una ferita nella carne dell’umanità; ogni morte violenta ci “diminuisce” come persone».
Ai piedi del Crocifisso vengono portate le candele, Luz mette la sua stampella, Pastora la camicia che la figlia Sandra aveva regalato al fratello, entrambi uccisi. «Vorrei anche abbracciarvi e piangere con voi, vorrei che pregassimo insieme e che ci perdoniamo – anch’io devo chiedere perdono – e che così, tutti insieme, possiamo guardare e andare avanti con fede e speranza», dice loro Bergoglio.
«Ci siamo riuniti ai piedi del Crocifisso di Bojayá», spiega, «che il 2 maggio 2002 assistette e patì il massacro di decine di persone rifugiate nella sua chiesa. Questa immagine ha un forte valore simbolico e spirituale. Guardandola contempliamo non solo ciò che accadde quel giorno, ma anche tanto dolore, tanta morte, tante vite spezzate e tanto sangue versato nella Colombia degli ultimi decenni. Vedere Cristo così, mutilato e ferito, ci interpella. Non ha più braccia e il suo corpo non c’è più, ma conserva il suo volto e con esso ci guarda e ci ama. Cristo spezzato e amputato, per noi è ancora “più Cristo”, perché ci mostra ancora una volta che è venuto a soffrire per il suo popolo e con il suo popolo; e anche ad insegnarci che l’odio non ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte e della violenza».
Si commuove il Papa, quando ascolta le testimonianze. «Sono storie di sofferenza e di amarezza, ma anche, e soprattutto, storie di amore e di perdono che ci parlano di vita e di speranza, di non lasciare che l’odio, la vendetta e il dolore si impadroniscano del nostro cuore». E ringrazia il Signore «per la testimonianza di coloro che hanno inflitto dolore e chiedono perdono; di quanti hanno sofferto ingiustamente e perdonano».
Spezzare la catenza della violenza, dell’odio, di chi risponde alla morte con la morte. «Tu, cara Pastora, e tanti altri come te, ci avete dimostrato che è possibile. Sì, con l’aiuto di Cristo vivo in mezzo alla comunità, è possibile vincere l’odio, è possibile vincere la morte, è possibile cominciare di nuovo e dare vita a una Colombia nuova. Grazie, Pastora; che gran bene fai oggi a tutti noi con la testimonianza della tua vita! E’ il Crocifisso di Bojará che ti ha dato la forza di perdonare e di amare, e ti ha aiutato a vedere nella camicia che tua figlia Sandra Paola ha regalato a tuo figlio Jorge Aníbal, non solo il ricordo della loro morte ma la speranza che la pace trionfi definitivamente in Colombia».
E, ancora, riprendendo la testimonianza di Luz Dary, il Papa sottolinea che è «l’amore che libera e costruisce. Mi hanno toccato il cuore queste tue parole. E in questo modo hai cominciato a guarire anche le ferite di altre vittime, a ricostruire la loro dignità. Questo uscire da te stessa ti ha arricchito, ti ha aiutato a guardare in avanti, a trovare pace e serenità e un motivo per continuare a camminare. Ti ringrazio per la stampella che mi offri. Benché ti rimangano ancora conseguenze fisiche delle tue ferite, la tua andatura spirituale è veloce e salda, perché pensi agli altri e vuoi aiutarli. Questa tua stampella è un simbolo di quell’altra stampelle più importante, di cui tutti abbiamo bisogno, che è l’amore e il perdono. Col tuo amore e il tuo perdono stai aiutando tante persone a camminare nella vita».
E infine il Papa parla di Deisy e Juan Carlos, che hanno militato nella guerriglia e che «ci hanno fatto comprendere che tutti, alla fine, in un modo o nell’altro, siamo vittime, innocenti o colpevoli, ma tutti vittime. Tutti accomunati in questa perdita di umanità che la violenza e la morte comportano. Deisy lo ha detto chiaramente: hai capito che tu stessa eri stata una vittima e avevi bisogno che ti fosse concessa un’opportunità. E hai cominciato a studiare, e adesso lavori per aiutare le vittime e perché i giovani non cadano nelle reti della violenza e della droga. C’è speranza anche per chi ha fatto il male; non tutto è perduto».
Certo, è difficile «accettare il cambiamento di quanti si sono appellati alla violenza crudele per promuovere i loro fini, per proteggere traffici illeciti e arricchirsi o per credere, illusoriamente, di stare difendendo la vita dei propri fratelli. Sicuramente è una sfida per ciascuno di noi avere fiducia che possano fare un passo avanti coloro che hanno procurato sofferenza a intere comunità e a tutto un Paese».
Passi avanti che non devono avere paura della zizzania. «Abbiate cura del grano e non perdete la pace a causa della zizzania», dice Francesco. «Il seminatore, quando vede spuntare la zizzania in mezzo al grano, non ha reazioni allarmistiche. Trova il modo per fari sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova, benché in apparenza siano imperfetti e incompleti. Anche quando perdurano conflitti, violenza, o sentimenti di vendetta, non impediamo che la giustizia e la misericordia si incontrino in un abbraccio che assuma la storia di dolore della Colombia. Risaniamo quel dolore e accogliamo ogni essere umano che ha commesso delitti, li riconosce, si pente e si impegna a riparare, contribuendo alla costruzione dell’ordine nuovo in cui risplendano la giustizia e la pace».
Ma se la pace ha bisogno di riconciliazione, la riconciliazione ha bisogno della verità. «Accettare la verità è una sfida grande ma necessaria. La verità è una compagna inseparabile della giustizia e della misericordia. Unite, sono essenziali per costruire la pace e, d’altra parte, ciascuna di esse impedisce che le altre siano alterate e si trasformino in strumenti di vendetta contro chi è più debole. La verità non deve, di fatto, condurre alla vendetta, ma piuttosto alla riconciliazione e al perdono. Verità è raccontare alle famiglie distrutte dal dolore quello che è successo ai loro parenti scomparsi. Verità è confessare che cosa è successo ai minori reclutati dagli operatori di violenza. Verità è riconoscere il dolore delle donne vittime di violenza e di abusi».
È ora di spegnere gli odi, di non fare resistenza alla riconciliazione. È arrivato il tempo per la Colombia di «aprire il tuo cuore di popolo di Dio». «Lasciati riconciliare», dice Bergoglio, «non temere la verità né la giustizia.
Cari colombiani: non abbiate timore di chiedere e di offrire il perdono. Non fate resistenza alla riconciliazione che vi fa avvicinare, ritrovare come fratelli e superare le inimicizie. E’ ora di sanare ferite, di gettare ponti, di limare differenze. E’ l’ora di spegnere gli odi, rinunciare alle vendette e aprirsi alla convivenza basata sulla giustizia, sulla verità e sulla creazione di un’autentica cultura dell’incontro fraterno».