Matilde Moro, 30 anni, operatrice umanitaria
Matilde Moro ha trent’anni e da sei lavora con gli immigrati tra l’Italia e l’estero, tra Lesbo, la Sicilia e in generale il Sud del nostro Paese. Con ruoli diversi nel team assistenza emergenza sbarchi o a supporto delle autorità sempre sugli sbarchi nella pre identificazione delle vulnerabilità e tanto altro. Negli ultimi due anni si è occupata di sbarchi. Il che le permette sempre di avere un primo sguardo sulle persone e vederli appena arrivati «a Crotone, Lampedusa o Siracusa con arrivi dalla rotta turca, libica e tunisina e fare un pre-screening per poi, se la persona lo vuole, approfondire i suoi bisogni».
Un anno fa era a Crotone quando c’è stata la strage di Cutro. «Lavoravo a supporto delle autorità e questo mi ha permesso di arrivare in spiaggia non la notte stessa dello sbarco, ma la mattina dopo molto presto ed è stato uno scenario davvero apocalittico, complici anche il colore del mare e del cielo». Oggi se ripensa a quella situazione ha tre immagini emotivamente vive nella memoria «la spiaggia con i ragazzi che erano sopravvissuti e il loro sguardo fisso nel vuoto. Vivi perché sono riusciti a nuotare per quei pochi metri che mancavano ad arrivare alla spiaggia. I teloni a coprire le salme e il clima di gelo e di silenzio negli occhi di tutti».
35 peluche come i bimbi che hanno perso la vita nel naufragio
Il PalaMilone, palazzetto dello sport di Crotone «adibito a camera ardente dove poi ha fatto visita alle bare lo stesso Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Un gesto dal forte valore simbolico perché l’abbiamo vissuto accanto ai superstiti». Infine, ma non per ultimo, «il silenzio e il freddo di quel posto e le urla strazianti mentre i sopravvissuti cercavano le persone che viaggiavano con loro per un ultimo abbraccio».
La terza immagine che Matilde porta nel cuore è «il rapporto che siamo riusciti a creare con i superstiti, con quella gioia irrazionale di un rapporto così profondo che, però, razionalmente ci auguriamo di non dover creare perché vorrebbe dire che hanno vissuto uno sbarco normale, senza famiglie spezzate o sparite del tutto, e che hanno proseguito il loro viaggio il giorno dopo».
Il weekend scorso Matilde era a Cutro per la commemorazione. «Con alcuni di loro ci siamo rivisti, stesso sguardo stessa intesa. Per chi ce l’ha fatta a superare il viaggio siamo stati il primo conforto, il primo gesto di cura». La commemorazione delle vittime del naufragio di Cutro è durata tre giorni «con una partita di calcio aperta al pubblico, una processione al centro del paese, una mostra che ripercorreva lo sbarco e, infine, la veglia di notte all’ora esatta del naufragio. È stato impattante, noi eravamo presenti per supportarli. Ci ho pensato tanto il giorno prima, mi sono chiesta dove avrebbero trovato la forza e il coraggio di tornare in quel luogo dove hanno rischiato la vita o hanno perso parenti e compagni di viaggio. Vederli riguardare quel mare è un’immagine che porterò per sempre negli occhi e nel cuore».
Dove trovino il coraggio di partire sapendo che viaggio li aspetta per Matilde è chiaro: «nelle condizioni di partenza per cui il rischio passa in secondo piano. Nella determinazione a crearsi una nuova vita per sé e per i propri figli. Penso a Cutro che è stata definita la strage dei bambini. Partono per loro, per auguragli un futuro sereno e lontano da persecuzioni o torture».
Sulla spiaggia domenica 25 febbraio notte c’erano 94 luci, «94 come i corpi che ha restituito il mare». E 35 peluche come i piccoli che non hanno mai raggiunto la terra “promessa”.